Franco Nofori
11 agosto 2019
Si tratta di un accordo formalizzato dopo decenni di attesa e concluso nel 2015, grazie alla presenza in Italia del presidente del Kenya Uhuru Kenyatta e del suo ministro degli esteri, richiamati a Milano dalla vetrina internazionale dell’EXPO. Sembrava che, finalmente, l’ex colonia britannica, si sarebbe riscattata dalla sgradevole nomea di essere un rifugio dorato per tutti i truffatori e criminali d’Europa. Infatti, pur se non proprio tempestivamente, il Kenya diede esecuzione a quest’accordo sedici mesi dopo, arrestando nell’aprile 2017, tre pregiudicati italiani: Mario Mele di Malindi, Fulvio Leone di Mtwapa e Stefano Poli di Kilifi. I tre vennero rispediti in Italia e consegnati alle forze di polizia giudiziaria.
Un ottimo inizio che autorizzava la speranza di una profonda pulizia all’interno della corposa comunità italiana, sparsa un po’ in tutto il Kenya, ma prevalentemente concentrata sulla costa, con il suo fulcro maggiore tra Malindi e Watamu. Si tratta di una comunità in larga misura onesta e operosa che ha dato, negli ultimi quarant’anni, un efficace impulso a villaggi locali che, dalla loro condizione di semplici zone dedicate alla pesca, si sono trasformati in ben organizzate cittadine turistiche, d’indiscutibile impronta italiana. All’interno di questa comunità, ci sono anche molti pensionati che hanno scelto il Kenya come destinazione alternativa all’Italia, per la mitezza del clima e il senso di libertà che da sempre l’Africa ispira ai suoi visitatori.
Tutto questo, ha dato un forte impulso all’economia e all’occupazione locali, ma oggi, a quattro anni di distanza dall’accordo in questione, la speranza di vedere realizzata la pulizia attesa, sembra amaramente frustrata. Dopo l’arresto e l’estradizione dei tre pregiudicati sopra riferiti, nessun’altra iniziativa è stata più intrapresa. Eppure gli italiani che si sono rifugiati in Kenya per sfuggire a procedimenti giudiziari in patria, sono parecchi e anche abbastanza conosciuti.
Ma con loro ci si convive e si sviluppa, nel tempo, un senso di accettazione e di fatalismo che spesso, per omertà, paura o semplice indifferenza, finisce in molti casi per scadere in una sorta di collusione. E’ significativo notare che quando sui social network compare una notizia che mette in luce l’esistenza di questi pregiudicati, siano ben pochi i commenti o i “like” che le sono tributati, nel timore di esporsi a ritorsioni. Addirittura ci sono portali che si rifiutano di affrontare la questione e proclamano a gran voce che tutto va bene spesso negando perfino l’evidenza.
Si tratta di comportamenti indubbiamente tristi, ma oggettivamente comprensibili. E’ pericoloso farsi nemici in Africa. Soprattutto quando questi nemici – grazie al denaro prodotto dal crimine – possono comprarsi potenti protezioni presso le autorità locali, corruttibili fino all’osso e non raramente estese fino agli scranni dei giudici. Del resto, quale messaggio può ricevere l’uomo comune quando deve costatare l’elevato livello d’impunità di cui gode chi ha fatto della trasgressione la propria strategia di vita? In che altro modo può essere giudicato l’atteggiamento imbelle della cosiddetta “Giustizia” (che giustizia non è) se non un invito a delinquere, catalogando implicitamente in “furbi” quelli che lo fanno e in “stupidi”, quelli che se ne astengono o che, come spesso accade, ne diventano vittime impotenti?
Sono molte le domande rimaste senza risposta riguardo all’applicazione di questo ormai fantomatico “Accordo di Estradizione”. Quali sono i criteri che lo regolano? Perché può essere reso attivo nei confronti di alcuni e non operare nei confronti di altri? A quali discrezionalità è soggetto? Quanti e quali sono gli ordini internazionali di arresto che l’Italia ha trasmesso al Kenya e – se trasmessi – perché il Kenya non li ha eseguiti, pur avendo sottoscritto l’accordo? Su questo tema le nostre autorità diplomatiche, mantengono sempre le bocche cucite e quando le aprono, è solo per suggerire di tenere, nel merito, un “basso profilo”. Ma questo “basso profilo”, con il silenzio che implica, è proprio la vanga che getta immeritato fango addosso a un’intera comunità e che, per naturale estensione, si scarica anche sulla nazione cui apparteniamo.
Franco Nofori
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