Franco Nofori
28 luglio 2019
Fino a qualche anno fa l’alleanza tra Ruanda e Uganda, pareva solida e indistruttibile, ma la costante precarietà delle situazioni africane, anche in questo caso, vince sulle più realistiche attese. Le crescenti tensioni tra i due Paesi, sono soprattutto dovute all’accesa rivalità che si è sviluppata tra i suoi leader: il ruandese Paul Kagame e l’ugandese Yoweri Museveni che mostrano di non voler recedere di un millimetro dalle rispettive posizioni. I motivi del dissidio risalgono al marzo scorso, quando il governo ugandese indirizzò a quello di Kigali, una vibrata protesta, per lo sconfinamento di sue truppe nel proprio territorio e la conseguente uccisione di due civili, ma se Museveni si aspettava delle scuse, ricevette invece l’altrettanto piccata risposta di Kagame che accusava a sua volta l’Uganda di aver permesso l’ingresso di contrabbandieri oltre il proprio confine.
I fatti in questione si sarebbero svolti nella città ugandese di Rukiga, adiacente al confine con il Ruanda, ma il deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, risalgono in realtà al dicembre 2018, quando, stando a fonti ruandesi, sarebbe stato scoperto che una formazione di ribelli, opposti al governo Kagame, erano stati addestrati e armati da istruttori ugandesi con lo scopo di rovesciare il governo del Ruanda. In effetti, si tratta di una situazione alquanto sospetta poiché il gruppo ribelle, autonominatosi “Platform 5” o più semplicemente “P5”, è al comando del generale Kayumba Nyamwasa, fino a qualche anno fa alto ufficiale delle truppe ugandesi, poi passato, con un equivalente incarico, alle forze armate del Ruanda. Il sostegno alla formazione ribelle, non sembra limitarsi a quello ugandese, ma vi concorrono anche il Burundi e il Congo-Kinshasa. Stando così le cose, l’irritazione di Paul Kagame sarebbe più che giustificata.
Oltre al loro comandante, sembra inoltre accertato, anche da un recente rapporto ONU, che tra i militanti del “P5” ci sarebbero molti altri ex ufficiali dell’esercito ugandese che nello stesso mese (dicembre 2018) tentarono un fallito colpo di stato per rovesciare il governo ruandese in carica. Paul Kagame, nel febbraio di quest’anno, rispose chiudendo i confini con il Paese vicino. I più recenti fatti di Rukiga, non sono quindi altro che l’espressione di una pericolosa escalation delle tensioni tra i due Paesi, i quali stanno ammassando truppe ai rispettivi confini, dando così luogo a un temibile confronto che qualsiasi scintilla è ora in grado di far esplodere. Ad aggravare la situazione ci sono le belluine dichiarazioni di tutti gli attori coinvolti nella vicenda che, in luogo di esortare alla calma, gettano benzina sul fuoco, mettendo così a rischio la stabilità dei rispettivi Paesi.
Sia il Ruanda e sia l’Uganda, sono stati entrambi deferiti dalle società civili, alla Corte di Giustizia dell’Africa Orientale, con l’accusa di mettere a rischio l’incolumità dei propri cittadini, destabilizzando così l’intera regione, che ha già subito orrendi massacri la cui memoria resta tuttora vivissima nella popolazione. Nel frenetico scambio di accuse tra i due contendenti, c’è anche l’imputazione rivolta a Paul Kagame, dal generale ribelle Kayumba Nyamwasa, di voler sponsorizzare un colpo di stato nel vicino Burundi. Davvero difficile, discernere cosa sia vero da cosa sia falso in questo bailamme di rispettivi addebiti, ma resta almeno credibile, il rapporto dell’ONU che conferma la coalizione di Uganda, Congo e Burundi, volta a destabilizzare il governo ruandese.
Qual è l’obiettivo di quest’aspro confronto tra i due contendenti? Difficile vederne altri, all’infuori di quello di poter conquistare una posizione egemonica nella regione, ma è un confronto che mostra anche quanto siano labili, in Africa, i sentimenti di amicizia, anche quando questi appaiano così consolidati da poter essere definiti fraterni. Paul Kagame e Yoweri Museveni, intrattenevano stretti legami e affinità caratteriali fin dai tempi delle rispettive frequenze alla prestigiosa scuola Ntare High School di Kampala e l’attuale presidente ruandese, rafforzò quest’amicizia, servendo per sette anni Museveni come vice comandante dei servizi ugandesi d’intelligence e fu proprio lui a sconfiggere numerosi movimenti che si opponevano alla sua leadership e a potenziare così la sua presidenza. Come si vede oggi, questa lunga amicizia mostra di avere ben poca influenza nella contesa odierna.
Malgrado alcuni suoi trascorsi – che restano controversi – è comunque d’obbligo riconoscere a Paul Kagame la capacità e la costanza di aver condotto il martoriato Ruanda a una nazione che può oggi porsi, a pieno diritto, come esempio per tutta l’Africa ed è davvero avvilente doverla vedere ora sull’orlo di un altro conflitto che, come tutte le guerre, si rivelerebbe certamente distruttivo e sanguinoso. Un conflitto che, come sempre avviene quando, la ragione si arrende alle armi, vedrebbe tutti (ma soprattutto i popoli) come i maggiori sconfitti.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1
Fonte: africacenter.org
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Ruanda
Gli avvenimenti in Ruanda, i processi di genocidio e le implicazioni di lotta economica, di scontri geopolitici e etnici sono tuttora oggetto di scontri diplomatici, di interferenze, di comportamenti opportunistici della “comunita’ internazionale”, cioe’ dei paesi al vertice della gerarchia imperialista.
“In Praise of Blood” (Il valore del sangue) e’ un libro-inchiesta della giornalista Judi Rever, edito in Canada nel 2018 e tradotto in varie lingue (non ancora in italiano). Consiste nella compilazione di una vasta documentazione del secondo genocidio, quello eseguito da parte della frazione comandata dai Tutsi e avendo come vittime gli Hutu. Si tratta del proseguimento del genocidio con parti questa volta invertite. Dalla documentazione raccolta dell’A. risulta un quadro di complicita’, a volte diretta, a volte implicita da parte delle potenze direttamente coinvolte negli interessi di saccheggio delle ricchezze minerarie del Congo oltre a quelli di dominio geopolitico della regione centro-africana.
Il processo di lotta in Ruanda e’ combinato a quello che portera’ alla destituzione di Mobutu in Zaire e all’ insediamento al governo di Kabila (che ripristinera’ il precedente nome di Congo). Nel 1997, dice l’ A. citando un diplomatico, “il problema dello Zaire e’ che tutti sanno che il regime di Mobutu cadra’, ma nessuno sapeva quando. Adesso lui e’ via e c’ e’ un regime legittimo dal punto di vista degli americani. E cio’ significa che si faranno gli investimenti...”. Cosi’ il New York Times descriveva il nuovo regime di Kabila: ”C’e’ una enorme ricchezza in gioco. La provincia (Shaba) vale miliardi di dollari di minerali che si estrarranno. Nella ricca terra giacciono milioni di tonnellate di cobalto, rame e zinco.”
L’ intreccio tra il genocidio ruandese, la occupazione del Congo da parte delle imprese Usa e la struttura del nuovo potere in Ruanda e’ ricco di fattori che si intersecano secondo una logica di dominio.
Ci sono alcuni dati storici da considerare all’origine del conflitto in Ruanda. La regione, Ruanda e Burundi, prima dell’arrivo dei colonialisti belgi, era abitata prima da una etnia di origine bantu dedita fondamentalmente all’agricoltura, gli Hutu. Successivamente arrivo’ nella regione una popolazione di etnia etiope, dedita fondamentalmente alla pastorizia. Mentre gli Hutu costituivano la stragrande maggioranza della popolazione, circa l’85 per cento i Tutsi erano una minoranza che tuttavia riusci ad esercitare il dominio nei confronti dei primi. La situazione arriva a una svolta in seguito alla proclamazione dell’indipendenza dal Belgio nel 1962. Prima ancora della formale indipendenza il Ruanda dal 1959 era diventato una repubblica. Mentre il Burundi rovescera’ la monarchia nel 1966.
Dal 1959 al 1963 inizia la persecuzione e il massacro della popolazione Tutsi, che si rifugiano soprattutto in Burundi.
Nel 1990 in Ruanda viene eletto un governo diretto da Habyarimana. Governo sostenuto militarmente dalla Francia. I massacri nei confronti dei Tutsi cominciano a prendere la forma di un genocidio cosi’ che una grande parte di questi si rifugia all’estero, principalmente in Uganda. La Francia sosteneva non solo politicamente e con fornitura di armi il governo di Habyarimana ma interveniva anche direttamente con il suo apparato logistico, ad esempio nella identificazione dei ribelli Tutsi durante i controlli stradali. Nel mentre, in Uganda i ribelli Tutsi al comando di Kagame vengono organizzati secondo una estremamente efficiente struttura operativa. Lo stesso Kagame era stato preparato e istruito nelle tecniche militari e di spionaggio nella scuola della Cia e della M16 (britannica). Dietro dunque lo scontro tra Hutu e Tutsi c’e’ da considerare anche il prolungamento dello scontro storico tra l’imperialismo francese che appoggiava gli Hutu francofoni e i Tutsi, rifugiati in Uganda, che si esprimevano ormai in lingua anglosassone.
Ristrutturazione geopolitica
Questi fattori sono indicati nella impostazione del libro di Judi Rever cosi’ come l’ intento da parte delle potenze anglosassone di costituire un centro di potere militare e politico nella regione. A questo proposito cita le osservazioni di un analista minerario. Questi aveva previsto appunto “una completa ristrutturazione geopolitica dell’ Africa centrale con i Tutsi ruandesi alla guida, un gruppo etnico la cui esistenza durante decenni era stata in pericolo. Di fatto si puo’ parlare di una Grande Tutsiland. La situazione attuale e’ che Ruanda e Uganda sono chiaramente il potere militare dominante nella regione. Loro possono praticamente fare tutto cio’ che vogliono”.
Si possono a questo proposito, constatare le analogie con la nascita e il ruolo di Israele nel Vicino e Medio Oriente.
Sebbene gli Usa non intervennero con proprie forze militari, svolsero pero’ un ruolo decisivo per il cambiamento di regime in tutta la regione sia dal punto logistico che diplomatico. L’A. documenta a questo proposito l’uso di foto satellitari per la ubicazione di profughi Hutu nella regione congolese del Kivu. Informazioni che venivano direttamente fornite al RPF, l’organizzazione di Kagame. Questo movimento era organizzato su un modello di efficienza. La preparazione aveva luogo in Uganda, dove disponevano dei mezzi per la diffusione della propaganda e dove prendeva forma dunque la organizzazione dei militari in cellule.Inoltre era stato preparato un servizio di intelligenza che preparava gli obiettivi dei massacri. Nell’ aprile 1994, quando inizio’ il massacro in grande scala degli Hutu Il RPF contava 600 cellule in tutto il Ruanda. Compito delle cellule era, dopo aver individuato la ubicazione del gruppo da sterminare, convincerli con a lasciarsi condurre in un posto dove sarebbero stati nutriti e protetti. Sul posto erano presenti squadre di assassini che dopo aver trucidato le vittime avevano il compito di far scomparire i cadaveri. Il che avveniva o bruciandoli, o mischiandoli ai cadaveri dei Tutsi, cosi’ da confondere eventuali ispezioni. Altro modo era farli a pezzi e buttarli nel lago.
Il genocidio degli Hutu aveva non solo scopo di diminuire la loro percentuale di popolazione ma anche quella di annientarli come popolazione. Per questo le vittime che avevano la precedenza erano le persone che avevano una qualunque preparazione culturale o scolastica fino a quelle che sapevano leggere e scrivere: ridurre gli Hutu cioe’ a una entita’ senza altra possibilita’ che la sottomissione.
Judi Rever descrive nei dettagli, con molti documenti basati su interviste a personaggi delle organizzazioni umanitarie presenti sul posto, come queste agissero subdolamente per coprire l’avanzata dell’esercito di Kagame. A volte minimizzando l’entita’ degli eccidi, altre volte accettando per buona la versione del RPF. Ma altre volte era il veto degli Usa che bloccava le indagini sui responsabili degli eccidi. Come con l’ episodio della estromissione di Carla Del Ponte che stava investigando sulle responsabilita’ di Kagame per i massacri. Fu proprio su pressione degli Usa che la direzione dell’ Onu decise di sostituire Carla Del Ponte con un tale Hassan Jallow che fece in modo che il dossier fosse archiviato. Del resto i responsabili della “comunita’ internazionale” dettero il loro sostegno esplicito a Kagame. La Clinton Foundation si espresse cosi’: “Il presidente Kagame esce dalla crisi con una nazione forte, unita e in progresso che, in potenza, puo’ diventare un esempio per il resto dell’ Africa e del mondo”. E Clinton stesso, che era presidente Usa all’epoca dei massacri del 1994, defini’ Kagame “uno dei piu’ grandi leader della nostra epoca”.
In sintesi il puzzle Ruanda Burundi potrebbe essere cosi schematizzato. La regione fu lasciata dal Belgio nel 1962. La regola colonialista vuole che quando si e’ obbligati a lasciare un dominio, si fa in modo che la popolazione decolonizzata venga divisa in etnie o religioni cosi’ che poi si ammazzano fra di loro. Altro grande esempio e’ il regalo dell’ imperialismo GB quando lascio’ India e Pakistan divisi e contendenti. Mugabe era diventato inaffidabile e non poteva garantire la sicurezza delle imprese sfruttatrici del sottosuolo. In Ruanda il governo di Habyarimana aveva iniziato la persecuzione e l’eccidio dei Tutsi. Kagame, rifugiato in Uganda, organizza un esercito e dopo l’ abbattimento dell’ aereo di Habyarimana scatena il genocidio degli Hutu. Li insegue nello Zaire e aiuta Kabila a spodestare Mobutu. Le grandi imprese si precipitano nel Congo per il saccheggio dei minerali.
Il tutto avviene con nello sfondo una lotta sotterranea tra l’imperialismo francese (prima sostenitore degli Hutu) e quello anglosassone sostenitore di Kagame. Questi si e’ poi garantito costituzionalmente la possibilita’ di restare al governo fino al 2034. Usa e GB come garanzia hanno sottoscritto un documento in cui i due paesi si impegnano a impedire che Kagame possa essere incriminato e consegnato al Tribunale internazionale ICC. Il documento sancisce un accordo di reciproca immunita’, cioe’ nessun membro del governo puo’ essere consegnato al ICC sens il consenso degli altri partner.
Il libro conclude con una ampia indicazione dei responsabili del genocidio dall’epoca di Kagame, 1994, fino all’attualita’. Accompagnato da documenti che indicano le responsabilita’ dirette e le inadempienze complici di quanti avevano il compito di controllare.
Il merito di questo libro e’ di avere esposto un quadro totale della situazione genocidaria nel Ruanda, situandola nell’ ambito piu’ generale degli interessi dei saccheggiatori occidentali, dei loro interessi militari e geopolitici in questa regione africana.
Nicolai Caiazza
2/6/2019
caiazzan@gmail.com