Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 27 luglio 2019
Le forze politiche e i gruppi ribelli che aderiscono a Freedom and Change – la coalizione civile, che comprende Sudanese Professional Association e partiti all’opposizione – hanno finalmente trovato un accordo. In un comunicato si legge: “Le parti hanno superato i dissensi e collaboreranno insieme per la pace”.
I gruppi ribelli non hanno partecipato al tavolo delle negoziazioni tra il Consiglio Militare di Transizione (TMC) e FFC, che hanno firmato un accordo politico lo scorso 14 luglio. Ora resta da definire il “documento costituzionale”. Le trattative sono ancora in atto.
Nel frattempo continuano le purghe all’interno delle Forze armate sudanesi. La giunta militare attualmente al potere mercoledì scorso ha arrestato il capo di Stato maggiore, Hachim Abdel Mottalib, alcuni agenti del NISS (intelligence sudanese), dirigenti dei movimenti islamisti e del partito Congresso Nazionale dell’ex presidente Omar Al Bashir. Su tutti pende l’accusa di aver partecipato al tentato golpe dell’11 luglio. Altri ufficiali, tra loro anche qualcuno già in pensione, erano stati imprigionati il giorno del fallito putch, con il quale si voleva riportare al potere l’ancien régime.
Uno degli uomini di spicco di TMC è Mohamed Hamdan Daglo, meglio conosciuto come Hemetti, attuale capo delle forze paramiliatri di Rapid Support Forces (ex janjaweed) e numero due della giunta militare. Le RFS sono state accusate di abusi su ampia scala in tutto il Sudan e sono stati anche accusati di aver partecipato al massacro del 3 giugno scorso.
Secondo Alex de Waal (ricercatore britannico di politica delle élite africane, il direttore esecutivo della World Peace Foundation presso la Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University), le RFS, guidate appunto da Hemetti, rappresentano un nuovo tipo di regime: un miscuglio di milizie etniche, imprese commerciali e forza mercenaria transnazionale.
Le RFS sono state fondate ufficialmente nel 2013 dall’ex presidente Omar Al Bashir, deposto l’11 aprile con un colpo di Stato e attualmente detenuto in una prigione a Khartoum. Su di lui pende ancora un mandato di cattura spiccato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja per crimini commessi nel Darfur. Molti suoi oppositori chiedono con insistenza che venga estradato e consegnato alla CPI.
Ma la storia delle RSF comincia ben prima, nel 2003 con il nome di janjaweed, quando il governo Al Bashir aveva mobilitato gli allevatori arabi di cammelli, per lo più di etnia Rizeigat del Nord-Darfur e del vicino Ciad. E’ così che sono nati i janjaweed, che hanno commesso crimini indescrivibili contro gli insorti africani neri del Darfur.
Infatti, nella prima parte degli anni Duemila la guerra del Darfur, scoppiata nel 2003, è stata sulle pagine di tutti i giornali e l’ONU ha inviato anche gruppi di investigatori che hanno confermato il carattere omicida delle milizie accusate di genocidio. Allora il capo dei janjaweed più conosciuto era Musa Hilal, della tribù dei Rizeigat/Mahamid, caduto in disgrazia e arrestato nel novembre 2017, perchè si era opposto alla fusione della sua milizia tribale con le RSF.
I comandanti dei paramilitari sudanesi sono tutti Rizeigat/Mahariya, la tribù di Hemetti, ma l’organizzazione arruola uomini di tutti gruppi etnici del Paese. E il loro ruolo è stato essenziale nell’ambito del “Processo di Khartoum”, fondo fiduciario d’emergenza dell’Unione europea per la stabilità, e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa, lanciato nel novembre 2015 al Summit de La Valletta. Il governo sudanese utilizzava per lo più i famigerati janjaweed, miliziani sanguinari, assassini, stupratori e rapitori di bambini, per controllare i confini con la Libia e l’Egitto.
Nell’ambito del Processo di Khartoum l’UE aveva anche finanziato un progetto per l’addestramento e equipaggiamento delle guardie di confine e della polizia sudanese per il controllo dell’immigrazione irregolare. Secondo quanto ha riportato da Deutsche Welle in questi giorni, l’UE avrebbe sospeso per il momento tale programma, perchè si teme che le forze di sicurezza in questione possano aver partecipato alle repressioni durante le manifestazioni in Sudan durante gli ultimi sette mesi.
Lutz Oette, esperta di diritti umani della School of Oriental and African Studies, ha spiegato a DW che tale misura è la logica conseguenza del cambiamento delle circostanze. Continuare una collaborazione in questo senso con il Sudan non è compatibile con la posizione dell’UE per quanto concerne i diritti umani.
Secondo un portavoce dell’Unione anche il Centro di intelligence, conosciuto come Regional Operational Center in Khartoum (ROCK), che condivideva informazioni sui network di contrabbando di persone e il traffico di esseri umani alle forze di sicurezza di diversi Paesi del Corno d’Africa, è stato chiuso a giugno. Il personale è stato trasferito in altri centri, mentre Better Migration Management (BMM) è già stato sospeso a marzo; altre attività finanziate da Bruxelles, come il sostegno alle persone vulnerabili nel Paese, non sono state interrotte.
Lo stesso portavoce ha sottolineato che il governo sudanese non avrebbe mai ricevuto finanziamenti diretti da Bruxelles. Sarebbero sempre stati affidati a agenzie di sviluppo degli Stati membri dell’UE, Organizzazioni internazionali o ONG. Ciò vuol dire che da parte europea è mancato il controllo sulla destinazione finale dei fondi.
Mentre un portavoce della tedesca GIZ (acronimo per Deutsche Gesellschaft fuer Internationale Zusammenarbeit GmbH) ha precisato che la lista dei partecipanti al programma di addestramento è sempre stato coordinato con il governo sudanese, precisamente con National Committee for Combating Human Trafficking (NCCHT), per evitare la partecipazione di uomini dei paramilitari di RSF.
Queste milizie non sono solamente attive nell’ex dominio anglo-egiziano. Sono presenti nello Yemen, in quanto il Sudan è tra i Paesi che sostengono la coalizione saudita. E, secondo quanto riporta The Libya Observer in un suo articolo del 25 luglio, i primi mille paramilitari sudanesi sarebbero arrivati nella Libia centrale per proteggere i pozzi petroliferi. In questo modo gli uomini fedeli a Khalifa Haftar possono concentrarsi sulla “offensiva su Tripoli”. Altri tre mila uomini delle RFS sono attesi nei prossimi mesi per supportare le forze del maresciallo della Cirenaica. Tale notizia è stata confermata anche da Radio Dabanga, emittente generalmente ben informata.
Documenti ottenuti da Al Jazeera proverebbero inoltre l’utilizzo dello spazio areo sudanese per inviare i paramilitari in Libia e nello Yemen via l’Eritrea.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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