Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 24 luglio 2019
Vietato cantare l’inno nazionale in Sud Sudan in assenza del presidente Salva Kiir. La nuova normativa è stata approvata dal Consiglio dei ministri venerdì scorso.
Secondo il ministro dell’Informazione, Michael Makuei, l’inno sud sudanese – scritto e composto in tutta fretta poco prima dell’indipendenza nel 2011 – sarebbe stato fatto suonare e/o cantare da alcune istituzioni durante cerimonie anche quando erano presenti solamente ministri, governatori, sotto-segretari.
“L’inno è un canto riservato al presidente e in sua assenza potrà essere ascoltato solamente nelle rappresentanze diplomatiche sud sudanesi all’estero o durante le prove di canto nelle scuole”, ha precisato il ministro.
Durante lo stesso Consiglio dei ministri è stata approvata anche la costruzione di un nuovo stadio sportivo nella capitale Juba per almeno quindicimila spettatori. Il governo ha stanziato la somma di 25 milioni di dollari e l’opera dovrebbe essere realizzata da Metallurgical Company of China (MCC). In aprile Makuei aveva annunciato che i barili di greggio destinati alla Cina in cambio di progetti di sviluppo aumenteranno da 10.000 a 30.000 al giorno.
Molti impianti petroliferi sono andati distrutti durante la guerra civile esplosa nel 2013. Attualmente il Paese è in grado di produrre 175.000 barili di greggio al giorno.
Poco meno di un anno fa è stato firmato l’ennesimo trattato di pace. Ma la gente continua a morire. Proprio all’inizio di luglio la Missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite per il Sud Sudan (UNMISS) ha fatto sapere che in particolare nella regione Central Equatoria sono stati attaccati parecchi villaggi.
Nel suo ultimo rapporto UNMISS ha documentato 95 violazioni e abusi nel periodo da settembre 2018 a aprile 2019. Oltre cento persone sono state brutalmente ammazzate durante attacchi da parte di gruppi armati in una trentina di villaggi.
Un centinaio di donne e ragazze sono state violentate, 187 persone sono state rapite e altre 35 sono state ferite, alcune in modo grave. Per fuggire alle violenze, almeno 56.000 abitanti della regione hanno cercato rifugio in altre zone del Paese, mentre 20.000 sono scappate in Uganda o nel Congo-K.
Dal 2013 ad oggi sono morte decine di migliaia di persone, oltre tre milioni hanno dovuto lasciare le loro case e i loro villaggi. Attualmente oltre il settanta per cento della popolazione necessita di assistenza umanitaria. Il conflitto ha portato con sé abusi dei diritti umani su larga scala nei confronti dei civili. A farne le spese sono sopratutto donne e bambini. Violenze e abusi sessuali, reclutamento di bimbi soldato, distruzione di ospedali, scuole, razzie delle scorte alimentari sono all’ordine del giorno. E secondo un rapporto di Famine Early Warning Systems Network alcune migliaia di persone sono esposte allo spettro della carestia.
In questi anni di guerra sono stati barbaramente ammazzati anche 101 operatori umanitari, altri sono stati sequestrati e molte donne sono state stuprate, tra loro anche un’italiana, che con molto coraggio ha reso testimonianza durante il processo a carico di una dozzina di militari dell’esercito sud sudanese.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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