Dal Nostro Corrispondente
Micheal Backbone
Nairobi, 23 luglio 2019
Il 14 luglio 2015 l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi arrivò tardi, attorno alle 22 alla residenza dell’Ambasciatore Italiano a Nairobi nel quartiere di Muthaiga.
Ad aspettarlo nella fredda notte invernale degli altipiani di Nairobi, parecchi connazionali che per la prima volta avrebbero avuto l’opportunità di discutere nel giardino della residenza le vicende italiane e keniote con il Primo Ministro attorniato da una nutrita delegazione tra cui Claudio Descalzi, presidente ENI e Francesco Venturini, AD di Enel Green Power e ovviamente Francesco Macri, AD di CMC.
Era palpabile l’eccitazione dei connazionali per la vicinanza del Premier, non circondato da guardie del corpo e molto alla mano con tutti, attento nell’ascolto e molto attivo nelle risposte in una surreale posizione di parità: era forse la prima volta che non si percepiva distacco tra rappresentanti delle istituzioni e cittadini.
Quella sera, Matteo Renzi annunciò la firma di un contratto importante di circa 300 milioni di euro tra la Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna e il Governo del Kenya per la costruzione di tre dighe, nella contea di Nakuru a Itare e due nella contea vicina di Elgeyo Marakwet a Kimwarer e Arror. Nella genealogia dell’aggiudicazione, a Itare si sono poi aggiunte le due altre dighe in Aprile 2015.
Queste dighe avrebbero rappresentato una migliore distribuzione delle risorse idriche in una regione del Kenya che ospita circa il 40 per cento delle popolazione totale.
A quattro anni di distanza, è di ieri la notizia sui media locali che dopo indagini protrattesi per circa due anni, il Ministro delle Finanze Henri Rotich, il suo braccio destro Kamau Thugge e parecchi altri dignitari tra cui il pari grado di Thugge al Ministero delle Comunità est-Africane, sono stati arrestati con l’accusa di tentata frode, abuso d’ufficio e comportamenti finanziari scorretti. Tra gli inquisiti a piede libero, anche il nuovo AD di CMC Paolo Porcelli nonché i responsabili italiano e keniota della Joint Venture siglata da CMC con il Gruppo Gavio chiamato Itinera.
E’ triste osservare quanto il nostro Paese sia chiamato a rispondere di malefatte compiute in Kenya, soprattutto perché a quattro anni di distanza dal pomposo annuncio, il progetto caro ad una parte dell’etnia kalenjin rappresentata al potere locale dal Vice Presidente William Ruto, altro non ha visto che sostanziosi movimenti di fondi dal Kenya verso l’Italia per il versamento della garanzia di Stato sottoscritta tramite la SACE, la quale ha poi tramite Banca Intesa e BNP Paribas Fortis fatto transitare verso il Kenya i fondi necessari per l’inizio dei lavori delle commesse.
Nemmeno un piccone ha scalfito il terreno dei progetti.
Senonché i fondi sembra siano serviti in parte per l’acquisto di generi non propriamente compatibili con la natura della commessa: all’incirca 50 automezzi di vario tipo, ma in maggioranza SUV di gamma alta nonché generi alimentari (vini e alcolici tra l’altro, non esattamente atti a movimentare terreni) che sono stati ovviamente riportati in modo scandalistico sulle testate dei media avversi al progetto caro al Vice Presidente Ruto.
Nel contesto keniota, William Ruto è attualmente l’esponente di spicco della minoranza kalenjin, un’etnia creata formalmente dal secondo Presidente Daniel Arap Moi alla fine della seconda Guerra Mondiale per contrastare la dominanza kikuyu e offrire un posto durevole nella coalizione di governo a questa (e sua) minoranza.
Tuttavia, William Ruto non corrisponde alla visione secolare della distribuzione del potere nel Paese dettata dalle due famiglie che se lo sono spartito negli anni, Kenyatta (attuale presidente, figlio del presidente fondatore e di etnia kikuyu) e Moi (secondo presidente, padre padrone della patria per 23 anni e di etnia kalenjin): il progetto è stato osteggiato non tanto dall’etnia antagonista, ma soprattutto dalla sua propria gente.
Oggi, alla luce dello scandalo che lo ha visto coinvolto sui giornali e dal quale si è sempre difeso vigorosamente, questi arresti di personalità di spicco nel governo in posizioni chiave per il futuro del Paese, lo mettono in un imbarazzo evidente.
La trama dei finanziamenti pervenuti da banche consorziate europee con capofila l’italiana Intesa segue lo schema dei finanziamenti bilaterali per favorire i Paesi in via di Sviluppo, una pratica corrente per blindare l’accesso alle sole aziende nazionali a commesse in quei Paesi: nel caso del Kenya, la SACE ha sottoscritto un accordo con il Ministero delle Finanze Keniota mediante il quale una linea di credito veniva concessa al Ministero locale per l’esecuzione delle dighe da parte del consorzio Itinera, formato tra CMC e Gavio, dopo il versamento da parte del Tesoro del Kenya di un acconto di garanzia verso la SACE.
I fondi poi messi a disposizione dal consorzio sono coperti da garanzia di Stato, il che equivale a dire che si tratta di un assegno in bianco che viene fornito dal Paese sottoscrittore alle ditte che vincano queste commesse.
Sembra inoltre che il bando per competere abbia avuto una gestazione al minimo strana, poiché da asta internazionale si è passati a un accordo bilaterale tra i governi italiano e keniota: si tratta dunque di introiti sicuri perché garantiti dal Paese richiedente, finanziati dal Paese offerente e non sorprende vi possano essere state delle trame per “favorire” un’azienda piuttosto che un’altra a seconda dell’affiliazione politica, il che potrebbe spiegare perché la CMC ha ottenuto questa commessa in tempi di potere targato PD mentre possibilmente già versava in cattive acque.
La costellazione di imprese affiliate a CMC che hanno avuto un ruolo nell’esecuzione del contratto è anche interessante:
CMC South Africa Ltd. rispose alla gara d’appalto, il consorzio CMC-Itinera firmò il contratto, CMC Itinera JV Kenya Branch emise le fatture, e CMC Ravenna incassò gli anticipi versati dal Tesoro Keniota.
Rimane da chiarire perché il consorzio Itinera sia poi subentrato al vincitore dichiarato della gara ossia CMC, poiché non risulta nessun atto ufficiale che lo spieghi visto che gli aggiudicatari di concorsi non possono cambiare assetto societario una volta la commessa aggiudicata.
Dal momento in cui i fondi erano stati approvati nel 2015 verso SACE, il consorzio ha stanziato parte dei fondi necessari secondo il piano di finanziamento (e di fatturazione) stabilito, tuttavia questi fondi non solo sono atterrati in Kenya per contrarre ulteriori prestiti locali a finanziamento delle prime attività, ma sono anche solo “transitati” dal Kenya verso un percorso tracciato dalle Autorità Italiane e Inglesi verso il Regno Unito e poi di nuovo in Italia. Si parla di circa 200 Milioni di Euro che hanno preso questo tortuoso e inspiegabile cammino, mentre l’ammontare della commessa, all’origine di 304 milioni di euro lievitava sino a circa 600 milioni di Euro con persino l’aggiunta a posteriori di una copertura assicurativa contratta dal Tesoro Keniota a protezione dei famosi “cambiamenti in corso d’opera”, una pratica diffusa per gonfiare la fatturazione.
In parallelo, nel 2018 CMC avviava in Italia la procedura di concordato preventivo per potere proseguire l’attività senza l’assillo dei numerosi creditori e per quanto si possa offrire una visione garantista della vicenda, i torbidi movimenti finanziari venuti alla luce dall’inchiesta lasciano presagire lo spettro di una bancarotta fraudolenta, laddove mediatori inglesi e altri presenti sul territorio africano operanti per conto della CMC, hanno unto molti ingranaggi dell’Amministrazione Keniota per trarre un chiaro vantaggio personale senza muovere un solo camion di terra.
Si parla di circa 20 milioni di Euro rimasti nelle tasche di numerosi esponenti politici kenioti o nelle mani dei faccendieri rappresentanti la CMC in Kenya, Sudafrica e altrove.
Si può tristemente osservare che esiste un certo masochismo tutto italiano ai piani cosiddetti alti della politica, poiché l’avvicendamento della coalizione Lega-5Stelle al potere dal marzo scorso ha di fatto volutamente affondato il sistema delle cooperative, con CMC come convitato di pietra saldamente controllata dallo schieramento rappresentato dal Primo Ministro uscente Matteo Renzi.
Rimane che per quanto lo scandalo sia stato abbondantemente martellato sui media locali per almeno due anni, ne’ la CMC né tantomeno i rappresentanti del governo italiano in Kenya si sono mai prestati alla difesa del progetto, quantomeno a difesa dell’immagine del nostro Paese gettando un’ombra cupa sulle aziende nostrane che ancora operano secondo le regole in Kenya.
Ad oggi, parecchi punti rimangono da chiarire, tuttavia questo impeto giustizialista in Kenya traccerà un nuovo solco della politica locale, mentre l’immagine dell’Azienda Italia rimane nel suo cono d’ombra in questa parte del mondo
Michael Backbone