Speciale Per Africa Express
Franco Nofori
21 luglio 2019
Si potrebbe definirla “la ferrovia che non c’è”, parodiando la celebre canzone sull’inesistente isola di Edoardo Bennato. Un tronco di strada ferrata che, nell’ambizioso progetto cino-keniano, doveva congiungere Nairobi all’Uganda e da qui dividersi in altri due tronconi, per raggiungere anche Ruanda e Sud Sudan. Quattro Paesi coinvolti nel progetto (di cui tre senza accesso al mare). Un totale di undici importanti centri urbani serviti dalla ferrovia SGR a gestione cinese in compartecipazione con la Kenya Railways. Il suo completamento avrebbe dato al porto di Mombasa uno straordinario sviluppo, consentendogli di costituirsi come il più importante polo di smistamento merci di tutta l’Africa centro-orientale.
Invece, due parallele e desolate strisce di ferro, si perdono nel nulla, a soli 110 chilometri da Nairobi nei pressi di un insignificante villaggio rurale. Questo perché la China Import-Export Bank, controllata da Pechino, ritiene a rischio ulteriori finanziamenti al Kenya, che già oggi si classifica come il più indebitato Paese al mondo nei confronti del gigante asiatico. A confermarlo è lo stesso Ministero delle Finanze del Kenya che stima il debito verso la Cina nel 60 per cento del debito globale che il Paese ha nei confronti di finanziatori esteri. Così – almeno per ora – il Kenya dovrà accontentarsi della tratta già in servizio da Mombasa a Nairobi. Una tratta che in luogo di produrre profitti, sta però producendo costanti perdite.
Per il completamento della tratta, almeno fino a Kampala, servirebbe un altro finanziamento di circa cinque miliardi di dollari che, negli accordi originari, la Cina avrebbe dovuto erogare al Kenya estendendo il suo debito nei confronti del partner orientale, ma Pechino non si mostra ora disposto a questo nuovo esborso, rendendosi forse conto che, facendolo, estenderebbe un credito che molto difficilmente potrà essere onorato. In questa decisione, non è indifferente il fatto che gli sperati profitti, della gestione congiunta della tratta Nairobi-Mombasa, già in esercizio, sono stati falcidiati dalle tristemente note patologie africane: corruzioni, nepotismi e inefficienze.
Così, come sta già avvenendo in altri Paesi africani, Zambia, Tanzania, Zimbabwe, Uganda, Egitto, Etiopia, Angola… e l’elenco potrebbe continuare, anche il Kenya si ritrova come il classico poveretto, un po’ sprovveduto, che ha un piede sul molo e l’altro sulla barca che va allontanandosi. Finirà a mollo? Sembra del tutto probabile salvo che non intervenga un miracolo che possa salvarlo da questa fine ingloriosa. La Cina, in questo genere di affari, mostra tutto il suo pragmatico e spietato cinismo, favorito da una classe dirigente africana, avida e corrotta, che pensa solo a rimpinguare le proprie tasche, del tutto indifferente alla sorte del popolo che governa.
Allo stato attuale delle cose, il Kenya, si trova già fortemente indebitato con la Cina, senza peraltro poter contare sui proventi che, il completamento del progetto in questione, gli avrebbe assicurato. In un suo rapporto del marzo 2018, il Center for Global Development di Washington, aveva già avvisato il Kenya, che la sua partecipazione al progetto cinese Belt and Road, l’avrebbe messo in serio rischio di default finanziario, ma quest’avviso, come tutti gli altri forniti dai vari organismi finanziari internazionali, è rimasto del tutto ignorato. “La Cina – osserva Jaques Nel, della NKC African Economics di Oxford – ha oggi posto un freno alla sua espansione internazionale, rendendosi finalmente conto che l’esagerato indebitamento dei suoi partner africani, li poneva in una trappola finanziaria senza via d’uscita” e soprattutto, aggiungiamo noi, senza poter garantire la restituzione di quanto ricevuto.
Una valutazione senz’altro giusta, ma drammaticamente tardiva e di cui la Cina, insieme ai suoi corrotti sodali africani, resta moralmente responsabile. I Paesi vittime del pathos, del tutto illusorio, di poter facilmente accedere – grazie a Pechino – all’Eden dei “Grandi del Pianeta”, si trovano ora condotti, da quello stesso “benefattore”, sull’orlo del precipizio, senza alcuna possibilità di retrocedere e costretti così a cedere, a uno a uno, i propri gioielli nazionali per tacitare quel “benefattore” che li ha portati al disastro finanziario e che si mostra ora ben poco disposto a sentimenti d’indulgenza nei confronti delle proprie vittime.
Franco Nofori
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