Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 20 luglio 2019
“Avevo dolori al ventre già lunedì, non immaginavo che potessero essere le doglie”. Fatoumata Condé, maturanda, diciotto anni appena compiuti, al nono mese di gravidanza, si è presentata ugualmente la mattina del 16 luglio al liceo Grand-Ducal de Mamou, che dista più o meno 250 chilometri dalla capitale Conacry. Non voleva assolutamente perdere l’esame di fisica, perciò non ha detto nulla delle fitte alla pancia ai familiari, tanto meno alla commissione esaminatrice. Si è seduta al suo banco e ha iniziato a svolgere il compito.
Verso le 08.30 il presidente della commissione, Mohamed Diakité, si è reso conto che il parto era imminente e ha fatto accompagnare Fatoumata all’ospedale. Dopo solo dieci minuti di travaglio ha dato alla luce un bellissimo maschietto. La giovane mamma ha affidato il neonato alle cure dei genitori, che nel frattempo, avvisati dalla scuola, l’hanno raggiunta; e lei, come se nulla fosse accaduto, un ora dopo il parto è ritornata a scuola per riprendere la prova scritta di fisica.
La determinazione della giovane di voler sostenere ad ogni costo l’esame di Stato per poter avere un futuro migliore lei e il suo bimbo esprime tutto il coraggio e la forza delle donne del continente africano.
Fatoumata, oltre a essere determinata e coraggiosa, è stata anche fortunata, perchè non in tutti i Paesi dell’Africa le ragazze incinte possono continuare a frequentare la scuola. Molti governi puniscono duramente le studentesse madri. Tanzania, Guinea Equatoriale e Sierra Leone applicano punizioni severe e antiquate, specie se le ragazze sono minorenni e non sposate. In Malawi le giovani sono riammesse dopo una sospensione di dodici mesi. In Senegal possono riprendere gli studi previa presentazione di un certificato di buona salute. Solo pochi Paesi, tra loro il Ruanda e il Gabon, incoraggiano le studentesse incinte a non interrompere il loro percorso di studi; in altri ventiquattro Stati, invece, non esiste nessuna norma specifica e la sorte delle ragazze è affidata alle benevolenza di funzionari locali.
La Sierra Leone è particolarmente severa nell’applicare questa legge draconiana e Mariatu Sesay di soli 14 anni quando ha realizzato di aspettare un bambino è stata assalita dalla disperazione. Temeva di essere espulsa dalla scuola, non le importava di essere derisa dai compagni, di essere isolata e additata. Non voleva interrompere il suo iter scolastico e ha supplicato, pregato i suoi insegnanti di non privarla del diritto allo studio.
Il preside dell’istituto scolastico, Eric Conteh, a costo di perdere il posto di lavoro, ha sfidato lo Stato e questa ingiusta legge e finora risulta essere la sola scuola in tutto il Paese a non aver costretto una ragazza in stato interessante ad abbandonare gli studi.
Lo scorso anno Equality Now, associazione per i diritti delle donne, ha depositato un ricorso contro questa legge della Sierra Leone al tribunale dell’ECOWAS (acronimo per Economic Community of West African States) in Nigeria; la Corte dovrebbe esprimere il suo parere entro la fine dell’anno.
Il governo di Freetown non vuole sentire ragioni. Difende la normativa, teme se dovesse essere abolita molte ragazzine potrebbero sentirsi incoraggiate a restare incinte. Ma spesso dimenticano che alcune di queste giovanissime sono vittime di stupro. Ciononostante sono ugualmente costrette ad abbandonare la scuola. Oppressione, punizioni, per un maggiore controllo demografico: sembra che la causa della crescita smisurata della popolazione sia solamente colpa delle ragazze; dei giovanotti responsabili non si parla nemmeno.
Ultimamente sono state create alcune strutture nel Paese dove le giovani ragazze madri possono frequentare corsi part-time. Molti speravano che con l’elezione del nuovo presidente, Julius Maada Bio, le cose sarebbero cambiate, in quanto sua moglie, Fatima Jabbie-Bio, è un avvocato, specializzato nella protezione di vittime di violenza sessuale. Ma finora la normativa non è stata revocata.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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