Speciale Per Africa Express
Franco Nofori
16 luglio 2019
Ancora una volta la Francia è sotto accusa per sospette interferenze nel conflitto libico e per la disinvoltura con cui attua la sua politica d’influenza in terra d’Africa, condotta spesso in aperto spregio agli accordi internazionali da lei stessa sottoscritti. Ora è accaduto qualcosa che ha provocato l’intervento delle Nazioni Unite. Riguarda un lotto di missili anticarro Jevelin di produzione americana che, dai codici identificativi stampati sugli stessi, risultano acquistati dal governo francese nel 2010. Circostanza, questa, riconosciuta dall’Eliseo, che ha anche precisato di averli pagati 150 mila dollari ciascuno.
La presenza dei missili è stata scoperta dalle truppe fedeli al governo di Tripoli, retto dal presidente Al Sarraj – in campo internazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite – in occasione della riconquista della città di Gharyan, in precedenza occupata dalle forze del generale Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi, nel nord-est del Paese, che non ha mai accettato l’ufficiale riconoscimento del rivale. Il ministro degli esteri libico, Mohamed Taher Siala, ha perentoriamente chiesto al suo omologo francese, Jean-Yves Le Drian, di “Spiegare urgentemente quando e perché Parigi ha deciso di fornire tali missili alle forze ribelli del generale Haftar” in contrasto alle sue dichiarate intenzioni di non intervenire in supporto a nessuna delle parti in lotta e al suo “ufficiale riconoscimento del governo di Tripoli come legittimo governo della Libia”.
La risposta del governo francese, per bocca del suo ministro degli Esteri, è stata fornita in due contradditorie dichiarazioni che lasciano chiaramente trasparire l’imbarazzo dell’Eliseo sulla questione. Secondo la prima, i missili Jevelin, erano stati “smarriti” in circostanze non precisate e si trattava comunque di “ordigni difettosi” che non potevano essere utilizzati, ma, la seconda dichiarazione rilasciata dallo stesso ministro alla stampa, riferiva trattarsi di un “armamento fornito a protezione dei militari francesi dispiegati in Libia per operazioni anti-terrorismo” e che, rilevato che i missili erano danneggiati e inutilizzabili, si era deciso di “stoccarli in un deposito, in attesa di essere distrutti”.
Davvero curiose queste doppie spiegazioni che si contraddicono l’una con l’altra. Inoltre, nella foga di trovare una giustificazione al ritrovamento dei missili, il ministro Le Drian, si esibiva in un clamoroso autogol, riconoscendo, per la prima volta, dal 2016, che la Francia disponeva di un proprio contingente militare in territorio libico, di cui non si conosce tuttora né la reale consistenza né l’effettivo scopo. Un inatteso contropiede che non conferisce certo credibilità alla politica estera di Parigi, ormai da troppo tempo caratterizzata da ombre e pesanti ambiguità. Tanto più criticabili perché espresse da un Paese cui sono attribuite le maggiori responsabilità dell’odierna situazione libica, per l’intervento promosso nel 2011 dall’allora presidente François Sarkozy, che portava al rovesciamento del regime di Muammar Gheddafi.
I cadaveri nell’armadio francese, prodotti dalle sue continue ingerenze negli affari africani, cominciano davvero a essere troppi. Sono ormai accertate le gravi responsabilità nell’orrendo genocidio Ruandese, dove le autorità diplomatiche di Parigi, fornirono supporto e protezione ai miliziani hutu nel massacro perpetrato contro l’etnia tutsi. Il giogo del franco CFA sulle sue ex colonie, non si limita solo a fornire alla Francia il controllo su quelle economie, volto a tutela dei propri interessi, ma si esplicita anche nel controllo politico, che offre o toglie sostegno a quelle leadership che gli sono o no favorevoli, com’è avvenuto nel Congo-Brazzaville, dove l’ex presidente Pascal Lissouba, democraticamente eletto nell’agosto 1992, fu sostituito nel 1997 con un colpo di stato – pare favorito dalla Francia – dall’attuale Denis Sassou-Nguesso, che ha imposto al Paese uno spietato regime autoritario, non esitando a ricorrere all’eliminazione, anche fisica, degli avversari.
Proprio sul Congo-Brazzaville e sulle collusioni di Parigi con il suo attuale leader, un recente assassinio avvenuto in Francia, ha fatto emergere gravi preoccupazioni sulla disinvoltura con cui l’Eliseo può agire a sostegno delle proprie scelte geopolitiche. L’agente Daniel Forestier del DGSE, (Direzione Generale Spionaggio Estero) è stato ucciso con cinque colpi di pistola, in un villaggio dell’Alta Savoia, da uno sconosciuto. Forestier, si era da poco dimesso dal servizio, senza aver portato a compimento l’incarico di uccidere il generale Ferdinand Mbaou, un oppositore del regime di Denis Sassou-Nguessu. Con quest’omicidio, le indagini della Procura di Lione, relative al progetto di eliminare il generale Mbaou, non potranno approdare a nulla essendo venuto a mancare il più importante testimone dell’accusa.
Insomma, i comportamenti della Francia odierna, non sembrano più molto in sintonia con i valori propugnati dal suo trinomio repubblicano, Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, né ispirati ai suoi grandi filosofi, scrittori e umanisti, come Voltaire, Victor Hugo e Anatol France. La Francia di oggi è un Paese che si mostra sempre più votato a un pragmatismo utilitaristico che non esita, ove occorra, a vestirsi di cinismo, spesso anche fastidiosamente sussiegoso e sprezzante.
Franco Nofori
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