Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 12 luglio 2019
Sei membri della sicurezza del presidente del Camerun Paul Biya, ospite abituale dell’albergo Intercontinental di Ginevra, città che considera la sua seconda casa, sono stati arrestati la scorsa settimana dalla polizia giudiziaria elvetica, perchè accusati di aver partecipato all’aggressione di un giornalista della Radio Televisione Svizzera.
I sei protagonisti del pestaggio sono stati giudicati per direttissima. Quattro di loro sono stati condannati a quattro mesi di prigione, altri due a tre; a tutti è stato concessa la condizionale e dunque sono nuovamente a piede libero.
Le bodygard del presidente si sono scagliate contro il giornalista, perchè stava filmando un piccolo gruppo di persone della diaspora camerunense mentre manifestava davanti all’albergo di lusso ginevrino contro l’anziano patriarca Paul Biya, al potere dal ben 37 anni. Biya viene spesso a Ginevra e la cifra giornaliera per ospitare lui e il suo staff all’Intercontinental si aggira sui 40.000 dollari. Ovviamente a spese delle casse dello Stato, mentre la maggior parte della popolazione camerunense vive in miseria.
L’aggressione è avvenuta in pieno centro ed è durata non più di 30-40 secondi, ma ha provocato un incidente diplomatico tra la Svizzera e il Camerun non di poco conto. Il ministero degli Esteri elvetico ha convocato immediatamente il rappresentante diplomatico camerunense accreditato nella Confederazione, comunicandogli che tali episodi sono inaccettabili, in quanto qui la libertà di stampa è un diritto fondamentale e come tale va rispettato.
L’episodio è accaduto in un momento davvero delicato, visto che la Svizzera ha assunto il ruolo di mediatore tra il governo di Yaoundé e le due regioni anglofone (Nord-Ovest e Sud Ovest), dove si consuma un sanguinoso conflitto dalla fine del 2016. Allora il presidente Biya aveva proclamato di voler spostare gli insegnanti francofoni nelle scuole anglofone. Ma, secondo un accordo sull’educazione scolastica del 1998, i due sotto-sistemi, quello anglofono e quello francofono, sarebbero dovuti restare indipendenti e autonomi.
Molti cittadini anglofoni si sentono emarginati e poco rappresentati e per questo motivo chiedono la secessione, ma il governo centrale ha sempre minimizzato il problema e non ha mai aperto un dialogo concreto con la popolazione anglofona. Anzi, a maggio, poco prima che la “questione Camerun” approdasse al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il primo ministro Joseph Dion Ngute, si era recato nella zona anglofona. In tale occasione aveva fatto sapere che Yaoundé era pronta al dialogo, ma ha escluso trattative su secessione e separazione. Mentre il ministro per l’Amministrazione territoriale, Paul Atangana Nji, uomo di fiducia del presidente, ritiene che i separatisti non avrebbero nessun mandato per poter parlare a nome della popolazione anglofona. Infine il ministro ha apostrofato i secessionisti come “impostori”.
Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha salutato positivamente la proposta di mediazione della Confederazione elvetica. In una nota del 27 giugno 2019 il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha spiegato che, insieme al Centro per il dialogo umanitario (HD Centre) tenterà di trovare “una soluzione negoziata, pacifica e duratura della crisi”.
E anche Tibor Nagy, Assistente Segretario di Stato degli Stati Uniti per gli affari africani, ha fatto sapere che Washington approva la mediazione elvetica. Bisogna ricordare a questo punto che dall’inizio dell’anno il Pentagono ha ridotto i suoi aiuti militari al governo di Yaoundé per gravi violazioni dei diritti umani commessi dalle forze dell’ordine e aveva preteso che i responsabili di questi delitti venissero processati.
Alla fine di giugno il ministero della Difesa camerunense annesso che sette militari, accusati di esecuzioni extragiudizali, saranno processati. La data dell’udienza non è ancora stata fissata. Dopo la diffusione di un video che dimostrano le barbarie commesse da alcuni soldati dell’esercito di Yaoundé, inizialmente il governo aveva negato tutto, bollando il filmato come “fake news”. Solo dopo l’indignazione e le pressioni della comunità internazionale sembra che ora i colpevoli debbano rispondere dei crimini commessi.
La crisi anglofona ha causato la morte di quasi duemila persone, mentre ben più di mezzo milione di residenti hanno lasciato le loro case a causa di scontri e violenze. Un conflitto che potrebbe sfociare in una guerra civile, se i dialoghi in atto dovessero fallire.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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Primo articolo che si racconta più o meno come stanno i fatti.
Una premessa. Il dialogo non avrà luogo o per lo meno non potrà risolvere le tensioni perché:
1- I leader della contestazione sono in prigione. (Maurice Kamto e Sissiku Ayuk Tabe) e non si può ingaggiare un dialogo senza di loro. I leader anglofoni impegnati in questa mediazione segreta hanno affermato non avere le stesse rivendicazioni del gruppo dei contestatori francofoni (BAS e MRC). Il che creerà un secondo fuoco di tensioni. Quindi Dialogo non inclusivo.
2-. I contestatori del regime + opposizione reclamano un dialogo inclusivo perché non esiste solo un problema anglofone, ma una crisi politica globale. Violazioni dei diritti umani, arrestazioni su base tribale (BAMILEKE) con l'accusa di terrorismo di stato e ostilità alla patria solo per avere voluto manifestare pacificamente, condannazione davanti ai giudici militari per tutti i soggetti sopra citati. Arrestazioni con deportazioni senza mandati, o con mandati di perquisizione firmati da governatori e non giudici/ procuratori. Quello avvenuto in svizzera è solo l'inizio di una crisi che andrà via via aggravandosi.
Ricordo che la crisi anglofone è degenerata allo stesso modo con arrestazioni ingiustificate e condannazione per avere manifestato (diritti sacro Santo).