La costa del Kenya sempre più afflitta dalla pirateria nel settore turistico

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"La Malindina" primo e storico ristorante italiano di Malindi

Speciale Per Africa Express
Franco Nofori
3 Luglio 2019

Un lettore ci scrive dalla costa del Kenya: “Da diversi anni ho un’attività legata al turismo e come tutti sanno, da ormai troppo tempo gli arrivi sono drasticamente calati e per accaparrarsi i pochi turisti rimasti, molti abbassano i prezzi con il rischio di finire in bancarotta. Come se non bastasse, si deve anche subire la concorrenza illegale dei beach boy (che sono perlopiù truffatori) e di molti connazionali che affittano le proprie case illegalmente a turisti offrendo anche i pasti e altri servizi. La situazione è davvero disastrosa”. Il quadro che propone questo lettore, non è di oggi, ma esiste sin dalla fine degli anni Ottanta, solo che allora, tutti gli alberghi erano pieni di ospiti e se si voleva trovare un posto nella media/alta stagione occorreva prenotare quattro e anche sei mesi prima.

“La Malindina” primo e storico ristorante italiano di Malindi, oggi offre anche servizi alberghieri

In quell’euforia del “tutto va a gonfie vele”, chi si preoccupava se qualche birbante faceva un po’ di affarucci in nero? La maggior parte degli alberghi di Malindi, Watamu, Kilifi e Diani, erano allora in mano a inglesi e tedeschi, ma gli italiani cominciavano a fare la loro timida comparsa, dedicandosi anche all’edilizia residenziale che, anno dopo anno, ha trasformato il piccolo villaggio di pescatori di Malindi, nell’attuale “Little Italy”. Gli alberghi, i bar, i ristoranti, le agenzie escursionistiche (tutti a conduzione italiana) si moltiplicarono come funghi, mentre negli anni ’80, chi voleva gustare un buon pasto italiano poteva solo farlo allo storico ristorante “La Malindina”, frequentato da personaggi illustri della cultura, della politica e dello spettacolo. Oggi, a quanto ci risulta, a Malindi è rimasto un solo albergo a conduzione tedesca, tutto il resto è italiano e un po’ anche locale. A Watamu, Kilifi e Diani, invece, sopravvivono ancora resort gestiti da altri gruppi europei.

Il grafico mostra quanto risulti oggi ridotta l’affluenza in Kenya di visitatori stranieri

Era ovvio che, con il moltiplicarsi delle offerte, si accendesse una sempre maggiore competizione tra gli operatori turistici. Competizione che con il brusco calo degli arrivi, che si registra oggi, ha finito per assumere aspetti davvero drammatici. La scorsa settimana, nel nostro precedente articolo su Malindi, uno di questi operatori lamentava che, rispetto agli anni d’oro, il business del turismo sulla costa del Kenya, si era ridotto di ben il 90 per cento. Un crollo che, se confermato, rappresenterebbe una débâcle davvero clamorosa, mettendo a serio rischio molte strutture che vivono sul turismo o nel suo indotto. Per affrontare questa emergenza, gli alberghi – come un lettore ci riferisce – stanno distribuendo ai loro vecchi clienti, lettere con offerte di sconti che variano tra il venti e il cinquanta per cento della tariffa ufficiale.

Come riusciranno queste strutture a coprire i costi e a continuare a rendere adeguati servizi con simili riduzioni di prezzo? Sono infatti molti gli operatori che mettono in vendita le proprie attività, con l’intento di recuperare quanto possibile e quindi lasciare il Paese, ma la stagnazione del mercato turistico, vanifica tali aspettative. La già precaria situazione degli arrivi è oltretutto aggravata da un’estesa competizione illecita. Eserciti di beach boy, calcano incessantemente le spiagge offrendo ogni tipo di servizio turistico: alloggio, escursioni, viaggi… per non parlare di altri “servizi” d’intuibile natura. Non tutti cadono in questi tranelli, ma non sono neppure pochi quelli che lo fanno, i quali – se avranno fortuna – si troveranno a soggiornare in spelonche prive di ogni elementare comfort, o a intraprendere safari su mezzi fatiscenti che andranno in pezzi dopo pochi chilometri, rendendo necessari altri esborsi da parte dell’incauto turista.

L’ossessivo assalto dei beach boys ai turisti sulle spiagge del Kenya

Chi, invece, è meno fortunato, vedrà il sorridente beach boy dileguarsi con l’acconto ricevuto per non fare più ritorno, ma non sono solo gli imbonitori da spiaggia ad affliggere l’onesta attività degli operatori regolari. A questi imbonitori si aggiungono molti cittadini europei (soprattutto italiani) che avendo acquistato una casa o un appartamento sulla costa del Kenya, lo offrono in rete come destinazione per vacanze a basso costo. Offerta che possono fare agevolmente, visto che eludono ogni norma di legge con tutti gli oneri che essa comporta. Per combattere questo fenomeno, le autorità hanno imposto una tassa che, per il suo ammontare, si rivela ridicola per coloro che infrangono la legge, mentre resta assolutamente iniqua nei confronti degli altri.

Per la propria sicurezza nei safari è essenziale rivolgersi ad agenzie esperte e regolarmente autorizzate

Se gli organi preposti al controllo delle attività turistiche illegali, fossero seriamente intenzionati a combatterle, non dovrebbero fare altro che digitare “Case Vacanze” su un motore di ricerca internet, per trovarne a centinaia e tutte provviste d’indirizzi per una facile identificazione. Perché non organizzare un controllo su queste basi? E’ stato più volte detto (e accertato) che corruzione e illegalità, in Kenya, rappresentano un terzo dell’intera economia nazionale. A fronte di un turismo che langue, questa economia sommersa è la prima a patirne i deleteri effetti. Prostituzione, polizia, agenti delle imposte e pubblici funzionari in genere, hanno visto i loro proventi calare drammaticamente e hanno così reagito vessando sempre di più gli sventurati, che in regola già lo sono, tormentandoli con accertamenti e contestazioni pretestuose, che possono essere risolti solo con la corresponsione dell’immancabile “obolo” esentasse.

Una delle centinaia di “case vacanze” offerte sul web in Kenya

Insomma, sono tanti, troppi, gli elementi e le situazioni che concorrono a scoraggiare sempre di più, non solo chi ha già investito nelle attività turistiche sulla costa del Kenya, ma soprattutto a scoraggiare chi poteva potenzialmente investirvi. Il parlare poi di “attività turistiche” è molto limitativo, giacché ogni altra impresa, dall’edilizia, al commercio, all’alimentazione – che operi nella stessa regione – del turismo rappresenta l’indotto principale e la crisi in atto, con i suoi gravi effetti anche sull’occupazione, non può che produrre un serio fenomeno recessivo sull’intero territorio in questione.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1

Dal Nostro Archivio:

Le strade di Malindi competono con Roma, ma non è l’unica afflizione della “little Italy”

In aspettativa per aiutare i bambini in Kenya, gestivano resort turistico. Licenziati

 

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