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Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, giugno 2019
Il 6 aprile scorso qualcuno accende il telefono cellulare di Silvia connesso con la scheda telefonica della compagnia keniota Safaricom. Entra sull’applicazione WhatsApp ed esce da un gruppo di lavoro (una chat) cui la ventitreenne è iscritta insieme ad altre sue amiche. I partecipanti alla chat (5 persone) ricevono un messaggio: “Silvia Romano ha abbandonato”. Quel numero africano ora risulta irraggiungibile, il telefono è spento. Ma chi è che l’ha preso in mano? Chi è che l’ha manovrato per uscire dalla conversazione multipla? Ma, soprattutto: perché ha fatto uscire la legittima titolare di quell’account whatsapp? In questo modo sono stati cancellati tutti i messaggi vocali che Silvia aveva scambiato con le sue amiche.
La ventitreenne volontaria italiana aveva due numeri kenioti e un numero italiano. Quello della compagnia Airtel è scaduto ma, fino a pochi giorni prima del mio arrivo assieme alla collega americana Hillary Duenas alla polizia di Malindi, il telefono di Silvia è stato visto sul tavolo dell’ispettore Peter Murithi che poi l’avrebbe consegnato ai suoi colleghi di Nairobi che gestiscono tutto il dossier Silvia Romano. Ma nella capitale telefono e scheda SIM non si trovano.
Ma a Nairobi rimbalzano la palla. “Non ne sappiamo nulla – dichiara un funzionario incontrato al centro per il training degli investigatori sulla Mombasa Road -. Il telefono non è a Malindi?”
Quando Silvia è stata rapita ha abbandonato il telefono nella sua stanzetta a Chakama nella guest house senza nome di 7 stanze. L’apparecchio nei giorni successivi è stato consegnato alla polizia di Malindi, arrivata per un sopralluogo e per investigare. Conteneva la scheda telefonica della Safaricom. Ma dove sono finite le altre due schede, l’Airtel e quella italiana?
Sappiamo che a Chakama, un villaggio che si snoda in orizzontale lungo una strada, questa compagnia telefonica funziona a tratti e solamente in alcune zone. Ma Silvia usava quella scheda, anche perché le telefonate costano meno di quelle effettuate con Safaricom. Infatti si spostava dal suo alloggio e si piazzava in un angolo dove il segnale era sufficiente per parlare abbastanza bene.
La giovane volontaria– come si può vedere dal suo file negli uffici della compagnia telefonica, ha acquistato la scheda telefonica il 5 novembre, appena sbarcata all’aeroporto di Mombasa. A quanto risulta al Fatto Quotidiano nessun inquirente, italiano o keniota, è andato a verificare questo particolare.
Tra l’altro in Kenya, cosa che non è possibile in Italia, il telefono può essere utilizzato anche come bancomat. Può essere usato (attraverso un’applicazione che si chiama M-Pesa, “pesa” in swahili vuol dire soldi) per spedire e ricevere denaro. Il telefono serve quindi per pagare le bollette, il conto al ristorante o la spesa in un qualunque negozio anche il più piccolo villaggio sperduto nella savana, come Chakama. E con questo metodo Silvia e gli altri volontari ricevono i soldi necessari a pagare lo staff, la suola per i bambini e per fare le compere al mercato.
Ma se alcuni dei messaggi vocali che Silvia spediva alle sue amiche in Italia sono stati cancellati, altri sono ben chiari. Le critiche a Davide Ciarrapica, il ragazzo da cui Silvia Romano è andata a lavorare nel luglio di un anno fa, al Hopes Dreams Rescue Sponsorship Centre, restano ben chiare. La volontaria invia questa nota. “Il pensiero che lui stia lavorando in modo così…che stia sprecando un botto di soldi, che stia rovinando questi bambini, perché li sta rovinando, sta illudendoli, li sta facendo vivere in un mondo che non è il loro mondo, che non sarà il loro quando a 18 anni usciranno da quell’orfanotrofio, e quindi li sta facendo vivere in un tenore di vita che non va bene, che è deleterio per loro e sta sputtanando un botto di soldi in cazzate, anziché accogliere altri bambini, anziché fare altri progetti e questa cosa mi sta torturando la testa ogni giorno sempre di più, mi faccio anche dei calcoli, lui si è preso un botto di soldi tra me e gli altri volontari, dove cazzo sono andati? Lui è una persona molto instabile, lui come tanti altri non dovrebbero avere proprio un orfanotrofio perché lui è una persona che deve risolvere i suoi problemi interiori prima di risolvere i problemi degli altri”.
Parole di una ragazza illusa, che vuole aiutare gli altri e critica la realtà con la quale si scontra? Può darsi. Ma le sue parole mostrano invece una personalità seria e volitiva che ha molto chiari i suoi abbiettivi.
Per stare da Davide la ragazza doveva pagare l’equivalente di 10 euro al giorno e siccome era rimasta un mese gli aveva dato 300 euro. Aveva poi fatto alcuni regali (persino una capra) ma Silvia non era contenta di come era gestito il denaro delle donazioni, il tutto condito dal carattere di Davide piuttosto scorbutico e irascibile. Inoltre il ragazzo sul suo sito ringraziava sempre con immensa gentilezza coloro che gli portavano o gli mandavano qualcosa. “Ricordo che una coppia che si era appena sposata è arrivata portandogli parte dei regali di nozze e lui li aveva ringraziati entusiasticamente – racconta una sua amica -. Ma per Silvia mai una riga, mai un accenno. E lei c’era rimasta molto, molto male.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.it
twitter @malberizzi
Hillary Duenas
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