Sandro Pintus
Firenze, 20 giugno 2019
Fulgencio Obiang Esono, ingegnere pisano, sequestrato dai servizi segreti equatoguineani, è stato condannato a quasi sessant’anni di galera. Secondo il brutale regime del piccolo Stato africano dovrà scontare 58 anni e dieci mesi nelle terribili prigioni della Guinea Equatoriale.
L’ingegnere, equatoguineano con cittadinanza italiana, è stato accusato e ritenuto colpevole per il tentato di colpo di stato del 2017. Nessuno riesce a capire come possa aver partecipato al presunto golpe visto che in quel periodo era a Pisa dove viveva dal 1988. Quella inflitta a Fungencio è una condanna pesantissima più simile a una pena di morte, vista la terrificante situazione delle carceri dell’ex colonia spagnola.
“Il processo contro Fulgencio Obiang Esono è al di fuori di ogni standard internazionale. La confessione gli è stata estorta sotto tortura e senza la presenza di un avvocato di fiducia. Hanno preteso e ottenuto la condanna”. È il primo forte commento di Corrada Giammarinaro, legale dell’ingegnere pisano che segue il caso insieme all’avv. Ponziano Nbomio Nvò, in loco, per Amnesty International.
“Nonostante le richieste del console italiano, fino ad ora non è stato possibile visitare Fulgencio. Sono state trovate sempre delle scuse per non far entrare il rappresentante italiano o chi per esso – spiega l’avv. Giammarinaro -. Riguardo al suo stato di salute sappiamo però che è sottonutrito e disidratato”.
Da ricordare che lo scorso ottobre, a margine della seconda Conferenza Italia-Africa, c’è stato un incontro tra la viceministra agli Esteri, Emanuela Del Re, e il ministro degli Esteri equatoguineano, Simeon Oyono Esono Angue.
La ministra italiana ha chiesto “la collaborazione delle autorità di Malabo” sul caso Fulgencio Obiang Esono. Al ritorno in Guinea Equatotriale di Oyono Esono Angue la risposta del governo è stata l’arresto di una sorella di Fulgencio, residente nel Paese africano. Atteggiamento che somiglia molto a una vendetta trasversale in stile mafioso piuttosto che a una collaborazione.
Lo scorso settembre, l’ingegnere pisano, era partito per il Togo, chiamato per un lavoro che si è rivelato una trappola del regime equatoguineano. L’ultima comunicazione con la famiglia era stata dall’aeroporto della capitale, Lomè. Un messaggio vocale alla sorella, Cecilia, che vive a Pisa con la nipote: “Il viaggio è andato bene, ci sentiamo in questi giorni”. Poi era sparito nel nulla.
La famiglia, dopo due settimane, aveva fatto denuncia della sua scomparsa ma ha sempre sospettato un sequestro dal parte della dittatura equatoguineana. Poi la conferma della trappola scattata a Lomè. Agenti dei servizi segreti della Guinea Equatoriale avevano arrestato Obiang Esono che era stato rinchiuso nelle galere del Paese centro africano.
L’emittente di opposizione Radio Macuto aveva confermato che l’ingegnere era rinchiuso nelle terribili carceri di Playa Negra, a Malabo. Il processo ha coinvolto oltre cento oppositori politici della dittatura quarantennale di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, in un Paese dove non c’è traccia di diritti umani.
Le prigioni della Guinea Equatoriale sono famose in tutta l’Africa per la loro atrocità e sono il terribile simbolo di una delle più feroci dittature del mondo. Ne ha fatto le spese Roberto Berardi, imprenditore italiano, incastrato dalla dittatura della famiglia Obiang. Su quell’inferno vissuto da Berardi è nato un libro “Esperanza. La vera storia di un uomo contro una dittatura africana”, scritto dallo stesso imprenditore con il giornalista Andrea Spinelli Barrile e pubblicato da Slow News.
Fulgencio Obiang Esono è solo l’ultimo dei sei cittadini italiani finiti nelle maglie della discutibile giustizia equatoguineana. Oltre a Berardi ci sono rimasti impigliati – come insetti in una ragnatela – Fabio e Filippo Galassi, padre e figlio; e Fausto e Daniel Candio, anche loro padre e figlio.
In tutte queste situazioni pare che dall’ambasciata della Guinea Equatoriale non sia arrivata e non arrivi una reale collaborazione. Secondo il quotidiano “Il Manifesto”, la delegazione, guidata dall’ambasciatrice decana, Cecilia Obono Ndong (nipote del presidente), è stata spesso criticata. Non solo per false promesse e bugie raccontate alle famiglie degli ex-detenuti ma anche per quelle alle istituzioni del nostro Paese.
Sia la Farnesina che la Regione Toscana, come anche la diplomazia vaticana, si stanno occupando del caso. “Non sappiamo se la condanna a Fungencio è definitiva o se c’è un appello. È nostra intenzione chiederne il trasferimento in Italia – afferma l’avv. Giammarinaro -. È importante che ci sia la pressione internazionale, quel tipo di pressione che per il momento ha evitato la condanna a morte degli accusati”.
(ultimo aggiornamento, 20 giugno 2019 alle 10:40)
Sandro Pintus
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