Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 10 giugno 2019
Migliaia di cittadini liberiani sono scesi nelle piazze e nelle strade della capitale Monrovia venerdì scorso per chiedere migliori condizioni di vita. Un problema di vasta portata per George Weah, eletto presidente nel 2018, che prima di dedicarsi alla politica è stato un campione di calcio. Nel 1999 fu scelto dall’IFFHS come calciatore africano del secolo, ma evidentemente amministrare un Paese, non è come giocare a pallone.
Decine di associazioni della società civile, comprese quelle dei giovani, che furono grandi supporter di Weah durante la campagna elettorale, hanno formato il consiglio dei patrioti, fortemente appoggiato dai partiti dell’opposizione. La manifestazione di venerdì era stata indetta già due mesi fa e pubblicizzata in grande scala su tutti social network, che, ahimè, proprio venerdì, 7 giugno, risultavano oscurati nella capitale. Ma secondo Henry Costa, popolare speaker radiofonico e tra i maggiori sostenitori del movimento, ha fatto sapere che questa manifestazione rappresenta solo l’inizio: “Resteremo nelle strade e nelle piazze finchè non otterremo risultati concreti”. Molti abitanti della capitale sono andati da parenti fuori città, temendo violenze e disordini.
Buona parte della popolazione vive senza i servizi essenziali, come acqua corrente e energia elettrica, in parte riconducibile alla corruzione endemica.
Dopo i lunghi anni di guerra civile la riconciliazione non è stata facile. I giovani che avevano combattuto allora, oggi sono senza istruzione e lavoro; sono arrabbiati, infelici della precaria situazione economica, che non dà le necessarie opportunità. In particolare gli ex bambini soldato sono emarginati dalla società, vivono in baraccopoli e campano grazie a piccoli furtarelli.
Secondo fonti della polizia i partecipanti alla manifestazione sarebbero stati oltre quattromila. La comunità internazionale si è detta molto preoccupata per l’attuale situazione nel Paese. Teme, infatti, un rigurgito delle violenze; il ricordo della sanguinosa guerra civile (1989-2003) che ha causato la morte di 250.000 persone è ancora vivo.
Weah succede a Ellen Johnson Sirleaf – ha guidato il Paese dal 2006 al 2018 – e durante la sua campagna elettorale aveva promesso la riduzione della povertà e di combattere la corruzione galoppante, inoltre aveva garantito sicurezza e il diritto di manifestare. Purtroppo giovedì scorso anche lui ha alzato i toni: “Gli insulti e l’incitamento alla violenza non saranno mai più tollerati sotto la mia amministrazione”.
In questi giorni il presidente ha difeso il bilancio dei suoi primi diciotto mesi. “In questo periodo sono state costruite strade per collegare villaggi isolati, abbiamo pagato le tasse per sostenere gli esami a coloro che non avevano i mezzi, e ora tutte le scuole pubbliche sono gratuite. Non credo che possiamo essere biasimati per questo”.
I manifestanti chiedono nuove misure per far fronte alla grave crisi economica, un tribunale speciale per giudicare i responsabili della guerra civile e maggiore attenzione per la lotta contro la corruzione. Per ragioni di sicurezza gli organizzatori della protesta hanno dovuto sottoporre le loro lamentele alla vicepresidente Jewel Howard-Taylor, ex moglie di Charles Taylor, ex presidente e signore della guerra (1997-2003), invece che a Weah, mossa che non è stata apprezzata dai dimostranti.
Nel dicembre del 1989 il National Patriotic Front of Liberia (NPFL), capeggiato da Charles Taylor, comincia una rivolta nel nord del Paese e ben presto prende il controllo di quasi tutto il territorio, eccetto della capitale Monrovia. Alla guerra civile partecipano sette fazioni rivali; termina con gli accordi pace nel 1997. Nelle elezioni che seguono, Taylor viene eletto presidente. Nel 1999 ricominciano i disordini, ma Taylor prende il controllo della situazione. Nel 2003 altra guerra civile che termina con la fuga del presidente in Nigeria. Si stima che in questi quattordici anni siano morte almeno duecentocinquantamila persone, mentre centinaia di migliaia hanno dovuto lasciare le proprie case e fuggire.
Nel 2012 Charles Taylor viene condannato dalla Corte penale internazionale per ben undici capi di accusa relativi ai crimini di guerra. Attualmente sta scontando una pena di cinquant’anni in una prigione della Gran Bretagna.
La crisi economica attuale è dovuta in gran parte alla quotazione del dollaro americano che è raddoppiato negli ultimi due anni rispetto al dollaro liberiano. La svalutazione della moneta locale rende quasi impossibile per la maggior parte della popolazione l’acquisto di merce importata e per ridurre la galoppante inflazione, Weah ha ridotto le tasse sull’importazione per oltre duemila prodotti di prima necessità.
Ma la situazione si è aggravata anche grazie ad operazioni azzardate commesse dalla Banca Centrale Liberiana sotto l’amministrazione precedente e quella attuale. Lo scorso marzo cinque ex alti funzionari dell’istituto, tra loro anche il figlio di Ellen Johnson Sirleaf, sono stati accusati di sabotaggio economico per la sparizione di quindici miliardi di dollari liberiani (l’equivalente di ottantatremila euro). Le banconote, stampate all’estero, sarebbero arrivate nel Paese tra novembre 2017 – allora il presidente in carica era ancora Ellen Johnson Sirleaf – e agosto 2018, ma nella banca non sono state trovate tracce del malloppo.
Già a fine maggio il presidente ha promesso di chiedere un nuovo prestito al Fondo Monetario Internazionale per stabilizzare l’economia. Inoltre Weah si è impegnato affinchè venga sostituita la direzione della CBL. Intensificherà, inoltre, la lotta contro la corruzione. Istruzione, sanità, infrastrutture stradali e investimenti avranno comunque l’assoluta priorità.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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