Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 5 giugno 2019
Momento delicatissimo per il Sudan dopo che lunedì un gruppo di paramilitari legati al governo ha sparato sui dimostrati in lotta dallo scorso dicembre per un ritorno alla democrazia. I morti sono almeno quaranta e c’è il rischio che sia abortito il tentativo di varare un governo civile. Ampi settori dell’apparato miliare che per 30 anni hanno guidato con il pugno di ferro il Paese, non vogliono lasciare il potere e le riforme che hanno in mente sono ben poca cosa rispetto a quelle che chiedono, anzi pretendono, i dimostranti e cioè un governo di civili.
La rivolta di Khartoum assomiglia tanto a quella che 25 anni fa infuocò in Cina piazza Tienanmen. Il braccio di ferro tra la popolazione, esasperata dalla mancanza di libertà, e il regime che non vuol mollare il potere. Vinse quest’ultimo.
Ieri mattina nella capitale sudanese si sentivano sporadici spari, poi la situazione è tornata all’apparenza tranquilla. “La tensione – ha raccontato al telefono un diplomatico – si taglia con il coltello. Poca gente per strada, quasi tutti i negozi chiusi e quelli aperti deserti. Rare anche le automobili. Sembra che tutti siano con il fiato sospeso, in uno stato d’attesa”.
I militari hanno cancellato tutti gli accordi raggiunti finora con i gruppi di opposizione: prevedevano un periodo di transizione di tre anni con un governo guidato da civili cui avrebbero partecipato anche i militari. Un tempo piuttosto lungo necessario ai gruppi democratici per smantellare tutto l’apparato di potere creato e consolidato dal dittatore Omar Al Bashir in sella dal 30 giugno 1989 e defenestrato dalla piazza e dall’esercito l’11 aprile scorso. Ieri i militari hanno annunciato che le elezioni si terranno entro nove mesi. Ammesso e non concesso che saranno organizzate, è molto probabile che le vincerà l’attuale apparato, magari anche con qualche aiutino (leggi broglio) nell’urna.
Lo stringer del Fatto Quotidiano e di Africa ExPress a Khartoum non ha dubbi: “I militari stanno vincendo, anche se al loro interno sono divisi. Corre voce che gli ufficiali più arrendevoli con l’opposizione siano stati arrestati e che stia prevalendo la linea dura”.
Il gruppo Soufan, che si occupa di analisi e strategie politiche del Medio Oriente, fondato da un ex agente della Cia, spiega in un rapporto: “Ci sono chiari parallelismi con alcune delle proteste delle Primavere Arabe che alla fine hanno portato a insurrezioni in piena regola. In Siria, per esempio, dove i bombardamenti indiscriminati di civili da parte dei militari, hanno compattato i movimenti di protesta che hanno abbandonato la piazza e lanciato una rivolta più ampia”. Il documento conclude: “Esiste il rischio reale che la situazione possa sfociare in una vera e propria guerra civile, con un impatto significativo sulla regione, con violente ripercussioni sul conflitto in corso in Libia”.
I Paesi arabi rimasti lontani dalle proteste che nel 2011 hanno infiammato le Primavere con relativi sogni di democrazia, cominciano a preoccuparsi per un possibile contagio. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno intessuto rapporti con i leader sudanesi che guidano il Transitional Military Council e fornito loro un inquietante sostegno. Ha goduto della loro interessata amicizia in particolare il numero due del TMC, il famigerato comandante delle Rapid Support Forces i cui paramilitari lunedì hanno sparato sui dimostrati: il generale Mohamed Hamdan Daglo. Più conosciuto come “Hametti”, nel 2009 l’alto ufficiale – che appartiene alla tribù araba dei rezegat – è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio, violazioni dei diritti umani, stupro continuato e crimini di guerra per il suo ruolo di capo delle criminali bande di janjaweed (riciclatesi nelle RSF) che terrorizzavano e massacravano le popolazioni civili di origine africana nel Darfur. Ciononostante Arabia Saudita e Emirati gli hanno dato il loro sostegno politico ed economico. I principi ereditari saudita, Mohamed bin Salman, e di Abu Dhabi, ad aprile hanno offerto al TMC un pacchetto di aiuti da 3 miliardi di dollari e fornendo allo stesso tempo armi ed equipaggiamenti ad Hametti e alle forze sotto il suo controllo.
Ma Hametti già a cavallo tra il 2016 e il 2017, nonostante il suo inquietante curriculum e le numerose proteste, era stato incaricato dall’Unione Europea del delicato compito di proteggere le frontiere settentrionali del Sudan dal passaggio dei migranti: finanziatori Germania (denaro) e Italia (logistica). I suoi uomini avevano ottemperato molto bene ai loro compiti. Da criminali quali sono avevano sparato, massacrandoli, su gruppi di poveri disgraziati in fuga nel deserto. Chissà se ora quelle armi, comprate anche con soldi italiani, lunedì sono state usate in piazza a Khartoum.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
@malberizzi
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 21 dicembre 2024 Niente pace – almeno per…
Dalla Nostra Inviata Speciale EDITORIALE Federica Iezzi Gaza City, 20 dicembre 2024 In Medio Oriente…
Speciale Per Africa ExPress Raffaello Morelli Livorno, 12 dicembre 2024 (1 - continua) Di fronte…
Africa ExPress Cotonou, 18 dicembre 2024 Dall’inizio di settembre 2024 è attivo il Centro Ostetrico…
Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau 17 dicembre 2024 Un festival panafricano. In Arabia, Europa,…
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 16 dicembre 2024 Due multinazionali sono responsabili della disfunzione…