Speciale Per Africa Express
Franco Nofori
5 giugno 2019
L’introduzione della nuova carta moneta in Kenya è stata formalmente annunciata dalla gazzetta ufficiale del 31 maggio scorso. Pertanto – come ha anche spiegato Patrick Njoroge, governatore della Banca Centrale (CBK) – dal 1° ottobre di quest’anno, le attuali banconote non avranno più alcun valore. Solo quattro mesi, restano quindi a disposizione dei cittadini per convertirle nel nuovo conio, presso gli istituti di credito autorizzati a operare nel Paese. Questa iniziativa, dovrebbe concretare la promessa fatta dal presidente Uhuru Kenyatta, fin dalla campagna elettorale che aveva preceduto il suo primo mandato, di infliggere un colpo mortale alla dilagante corruzione che prostra il Paese da tempi immemorabili.
I tagli delle nuove banconote, restano quelli attuali: cinquanta, cento, duecento, cinquecento e mille scellini che raffigurano rispettivamente; l’energia verde, l’agricoltura, i servizi sociali, il turismo e gli apparati governativi, ma riportando anche le celebri immagini dei “big five”: leone, bufalo, elefante, leopardo e l’ormai quasi scomparso rinoceronte, caposaldi della fauna selvatica del Kenya e obiettivi di tutti i turisti che visitano i suoi parchi. L’adozione delle nuove banconote si prefigge anche lo scopo di contrastare la crescente attività dei falsari che immettono in circolazione ingenti quantità di cartamoneta contraffatta, sia nel territorio nazionale, sia nei Paesi che accettano lo scellino keniano come moneta di scambio.
Se, nelle intenzioni del governo, il contrasto alla falsificazione, può prefigurare un discreto successo, è molto difficile che lo stesso avvenga anche nei confronti della corruzione, proprio perché è l’intero apparato operativo (non solo quello pubblico) a essere profondamente affetto dalla corruzione. Agenti di polizia, funzionari dell’immigrazione, della dogana, del sistema giudiziario, delle amministrazioni di contea, delle banche private e d’ogni altra funzione pubblica. E’ vero che le nuove norme emanate dal governo renderanno difficile, per chi ha fatto illecita incetta di denaro, andare a cambiarlo senza giustificarne la provenienza, ma è proprio nell’imperante humus della corruzione, di cui l’intero Paese è impregnato, che si riuscirà sempre a trovare una soluzione.
L’impressione è che, come già avvenuto in passato, il governo, con l’emissione delle nuove banconote, abbia inteso creare l’effimera sensazione che voglia fare sul serio nei confronti della corruzione, ma in realtà, se avesse davvero voluto farlo, avrebbe – da tempo – potuto usare altri mezzi, molto più semplici ed efficaci per smascherare chi si arricchisce grazie al malaffare. Molti pubblici funzionari, dai livelli più subordinati a quelli più prestigiosi, tengono un tenore di vita del tutto sproporzionato alle prebende che ricevono; proprietà immobiliari, auto di lusso e flotte di veicoli destinati al trasporto passeggeri. Perché non chiedere semplicemente loro di dimostrare l’origine del denaro utilizzato per quelle spese? Se questo non si fa, è probabilmente perché non lo si vuole fare, forse intimoriti dall’effetto domino che una simile iniziativa provocherebbe.
Per riferire adeguatamente su tutti gli episodi di corruzione che avvelenano la vita in Kenya, oltraggiano i diritti e fanno scempio della legalità, occorrerebbe un volume con migliaia di pagine. A titolo d’esempio, proviamo a esaminare un solo apparato, quello del ministero dei lavori pubblici che assegna gli appalti. La selezione delle imprese candidate è effettuata in due tempi; il primo a cura di un team di esperti e il secondo da un consiglio che, sulla base delle indicazioni dell’esperto, deciderà a chi assegnare l’appalto. Immaginiamo ora che l’appalto riguardi un certo numero di depuratori d’acqua. Sarà l’ingegnere del pull di esperti che dovrà indicare le caratteristiche di tali depuratori con riferimento alle funzioni che dovranno assolvere. All’imprenditore che vuole ottenere l’appalto, basterà quindi pendere contatto con l’ingegnere in questione e “convincerlo” a inserire, nel suo rapporto al consiglio, le stesse caratteristiche del modello che lui intende offrire.
Questo non sarà però sufficiente e occorrerà anche foraggiare adeguatamente il consiglio affinché deliberi in suo favore. Naturalmente, questo doppio foraggiamento, dovrà essere adeguato al valore dell’appalto e non è essenziale che l’offerta sia anche competitiva, perché la discriminante sarà che, quel prodotto, corrisponde perfettamente alle specifiche indicate dall’esperto. Facile intuire quali ingenti somme di denaro confluiranno indebitamente nelle tasche dei “probi” servitori della Stato, ogni volta che viene indetto un pubblico appalto.
Che uso sarà fatto di quel denaro? E se davvero si vuole combattere la corruzione, perché non monitorare il tenore di vita di questi pubblici funzionari? Semplice: perché il farlo comporterebbe l’obbligo di farlo a tutti i livelli, toccando anche posizioni intoccabili, come quella del governatore Sonko di Nairobi, che possiede un parco d’auto placcate d’oro, o di quello di Mombasa, Joho che ha la passione delle Ferrari, fino a giungere al vicepresidente del Kenya William Ruto, che fa collezione di lussuosi elicotteri e che solo all’età di quindici anni, poté finalmente indossare il suo primo paio di scarpe. Da dove proviene la loro smisurata ricchezza?
Franco Nofori
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