Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1°giugno 2019
Il Consiglio militare di transizione del Sudan ha disposto giovedì scorso la chiusura immediata degli uffici della televisione qatariota Al Jazeera a Khartoum. Le autorità hanno revocato le credenziali a tutti i loro giornalisti presenti nel Paese e hanno confiscato il materiale sul quale stavano lavorando. Ma nessun ordine scritto è stato consegnato al responsabile della sede nella capitale sudanese.
Secondo quanto riporta Sudan Tribune, giornale online con base a Parigi, le forze dell’ordine avrebbero fatto irruzione negli studi dell’emittente mentre andava in onda il talk show quotidiano sulle proteste ancora in atto a Khartoum e i reporter continuavano a trasmettere i loro servizi sul sit-in in svolgimento davanti al quartier generale dell’esercito.
Recentemente gli organi addetti alla sicurezza avevano dato ordine ai media locali di non focalizzare le loro informazioni sulle proteste di piazza e le attività della coalizione Freedom and Change (comprende Sudanese Professional Association) e alcuni partiti all’opposizione).
Intanto continuano i negoziati tra civili e militari per la formazione di un governo di transizione composto da militari e civili e le piazze sono ancora affollate. Anche oggi migliaia di manifestanti, partiti da diversi quartieri della capitale, hanno poi raggiunto il sit-in, in atto dal 6 aprile davanti al quartier generale dell’esercito. I dimostranti avevano chiesto sostegno ai militari contro lo strapotere dell’allora presidente Omar al Bashir, rovesciato poi l’11 aprile. Attualmente l’ex dittatore si trova in una prigione a nord della capitale.
Dopo due giorni di sciopero generale a livello nazionale, le due parti – militari e civili – sono in trattative per trovare una possibile soluzione, ma nell’attesa la piazza continua a mettere sotto pressione la giunta militare.
Rashid Saeed, un portavoce di Freedom and Change, ha spiegato che i golpisti sarebbero pronti ad accettare una presidenza a rotazione di un anno e mezzo e un’equa ripartizione dei membri per ogni dicastero. Ma le trattative sono molto lunghe e complesse. Il Freedom and Change è un gruppo eterogeneo e dunque ogni decisione deve essere discussa e ridiscussa. La coalizione ha promesso di dare una risposta definitiva nelle prossime ventiquattro ore. Non tutti i suoi componenti sono favorevoli a condividere il potere con i militari durante il governo di transizione.
Intanto giovedì scorso l’attuale capo del governo, Abdel Fattah Al-Burhane, è andato in Arabia Saudita per una serie di colloqui bilaterali con rappresentanti di diversi Paesi arabi e musulmani.
Una decina di giorni fa Riyad ha depositato duecentocinquanta milioni di dollari sulla banca centrale del Sudan, la stessa cifra era già stata versata un mese prima dagli Emirati Arabi Uniti per incrementare le riserve di denaro liquido. Entrambi avevano offerto un aiuto finanziario di tre miliardi di dollari subito dopo la destituzione di al Bashir: mezzo miliardo in contanti, mentre il resto dovrebbe essere devoluto sotto forma di cibo, medicinali e prodotti petroliferi.
A metà aprile, Mohammad Hamdan Daglo, vicepresidente del Consiglio militare di transizione ha riconfermato la partecipazione del Sudan alla coalizione suadita nello Yemen. “Continueremo a combattere insieme alla coalizione araba fino alla fine”, aveva dichiarato Daglo, (detto Hametti), attualmente comandante dei paramilitari di Rapid Support Forces, come ora si chiamano i janjaweed, i diavoli a cavallo che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi durante la guerra in Darfur. Hametti, che era il capo di questi criminali, è stato al servizio del vecchio dittatore al Bashir per ben trent’anni.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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