Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 31 maggio 2019
Sono oltre cinquemila i migranti intrappolati nello Yemen, Paese che tentanto di attraversare malgrado la sanguinosa guerra che si consuma dal 2015 e dove i morti civili non si contano più. L’ottanta per cento della popolazione necessità di aiuti umanitari, oltre 14 milioni di persone sono a rischio carestia. Scuole chiuse, ospedali per lo più inesistenti a causa dei raid aerei e anche grazie alle bombe prodotte dalla Rheinmetall Waffe Munition Italia S.p.A. (RWM) che ha anche uno stabilimento in Sardegna, a Domusnovas. Queste armi vengono vendute all’Arabia saudita, capofila della coalizione che sostiene il presidente Mansur Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale.
Il conflitto interno è iniziato nel 2015 e vede contrapposto due fazioni: da un lato gli huti, un movimento religioso e politico sciita, che appoggiano l’ex presidente destituito Ali Abd Allah Ṣaleḥ, ucciso nel dicembre scorso, dall’altro le forze del presidente Mansur Hadi, rovesciato dagli huti con un colpo di Stato nel gennaio 2015.
La maggior parte dei migranti in Yemen provengono dall’Etiopia, scappano da povertà, in cerca di una vita migliore; tentano di raggiungere l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi Uniti in cerca di una vita migliore. Non dimentichiamo che il grande Paese, il secondo più popoloso dell’Africa, detiene il triste primato mondiale per numero di sfollati, che attualmente sono quasi tre milioni. Altri provengono della Somalia, in guerra da ben venticinque anni. Altri ancora dall’Eritrea per fuggire alla più crudele delle dittature africane.
Da metà aprile questi cinquemila sfortunati, fermati dalle autorità yemenite durante il loro passaggio nel Paese, sono rinchiusi in centri di detenzione più che improvvisati: in due campi di calcio e in un campo militari che si trovano a Aden, Abyan e Lahj, nella parte meridionale dello Yemen.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) dalla fine di aprile tenta di dare supporto ai migranti del Corno d’Africa. Gli etiopi sono duemilatrecentoquindici, tra loro anche centocinquanta donne e oltre quattrocento minori. Gran parte di loro ha deciso di accettare il rimpatrio volonatrio e le autorità di Addis Ababa hanno dato la loro disponibilità di collaborare per il rientro dei propri cittadini. I voli verso la capitale etiope erano già stati programmati. Per mancanza delle necessarie autorizzazioni finora nessun aereo ha potuto atterrare e ciò mette a rischio la vita dei migranti. Molti sono affetti da una grave malattia intestinale, proprio a causa della mancanza di igiene, acqua potabile, accesso alle cure sanitarie e quant’altro e ciò ha già causato la morte di alcuni di loro.
Ma molti dei giovani del Corno d’Africa che sperano in una vita migliore, non riescono nemmeno a raggiungere lo Yemen, figuriamoci proseguire il viaggio.
Prima di raggiungere Obock sulla costa meridionale del Gibuti, da dove partono molte imbarcazioni di trafficanti alla volta dello Yemen, i giovani devono attraversare lande deserte e impervie, caldissime e non di rado vengono rinvenuti resti umani nella regione del lago Assal, nel triangolo di Afar, che si trova a centocinquantacinque metri sotto il livello del mare e rappresenta il punto più basso del continente africano. Muoiono di stenti, fame e sete. Altri annegano durante la traversata, almeno tremilacinquecento negli ultimi dieci anni.
I pochi fortunati che riescono a raggiungere le mete prescelte – Arabia Saudita o Emirati Arabi – sono destinati a svolgere i lavori più umili, maltrattati, sfruttati; le donne sono trattate come schiave dai padroni, che non di rado abusano anche sessualmente delle ragazze e spesso vengono rispediti a casa, perché ritenuti migranti illegali.
Africa ExPress
@africexp
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