I familiari delle vittime del volo Ethiopian Airlines 302 citano in giudizio la Boeing

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Il nuovo Boeing 737 in fase di decollo dall'aeroporto di Addis Abeba, pochi attimi prima del disastro

Speciale per Africa ExPress
Franco Nofori
25 maggio 2019

Il 2 e il 16 maggio scorso, le famiglie di quattro vittime del disastro aereo occorso il 10 marzo di quest’anno, pochi minuti dopo il decollo dall’aeroporto di Addis Abeba, hanno citato in giudizio la Boeing americana, presso la Corte distrettuale del nord Illinois, per comportamento negligente attuato nel corso dei collaudi del nuovo aereo 737-8 MAX, ad avanzata tecnologia cibernetica. Il procedimento si svolge nei confronti della sede di Chicago del gigante Boeing Company and Rosemount Aerospace, Inc. of Minnesota e riguarda tre vittime italiane: Carlo Spini, Gabriella Viciani e Virginia Chimenti, tutti diretti in Kenya per operazioni di carattere umanitario. A queste famiglie si aggiunge quella di Ghislaine De Claremont, di cittadinanza Belga. Nel disastro perirono centocinquantasette persone.

Il nuovo Boeing 737 in fase di decollo dall’aeroporto di Addis Abeba, pochi attimi prima del disastro

Carlo Spini e la moglie, Gabriella Viciani, vivevano ad Arezzo ed erano rispettivamente un medico e un’infermiera. Stavano recandosi in Kenya per una missione umanitaria, mentre il curriculum di Virginia Chimenti testimonia la sua lunga e profonda esperienza nel campo della solidarietà internazionale. Aveva dedicato la propria vita ad alleviare la povertà e la fame negli angoli più disagiati del mondo, prima per conto della NGO di Nairobi, Alice for Children, operando nel quartiere di Dandora, uno dei più disperati slum della capitale keniana e poi per la FAO (World Food Program) delle Nazioni Unite. Laureata alla Bocconi aveva poi conseguito un master in studi orientali e africani presso la London Unversity. La morte l’ha raggiunta mentre stava recandosi in Kenya per proseguire nel suo lavoro. Aveva solo ventisei anni.

La giovane operatrice FAO Virginia Chimenti perita nel disastro aereo della Ethiopian Airlines

Sono otto gli italiani che hanno perso la vita nel disastro del Boeing 737-8 dell’Etiophian Airlines e cinque di loro si dedicavano a missioni umanitarie. Se gli accertamenti in corso dimostreranno che le tesi proposte dagli avvocati dei familiari, alla Corte dell’Illinois, sono fondate, allo sgomento per la tragica disgrazia, si aggiungeranno indignazione e rabbia perché alla sicurezza di vite umane é stata preferita la scelta di favorire gli interessi economici del gigante aereo internazionale. “Il 737-8 Max – si legge tra le istanze avanzate contro la Boeing – è stato venduto a diverse compagnie aeree, benché i test eseguiti durante il collaudo, avessero evidenziato il malfunzionamento di uno dei sensori che dovevano assistere il pilota nell’impostare il giusto angolo di decollo”.

Il quartier generale della Boeing Corporation

Si tratta d’ipotesi gravissime dalle quali la Boeing ha già fatto sapere che potrà difendersi in modo circostanziato, ma i problemi con questo nuovo aereo erano già stati evidenziati dalla Lion Air che, a seguito di un analogo disastro, aveva denunciato le stesse anomalie, allora attribuite dalla Boeing a un errore del pilota. Quasi tutte le compagnie aeree che avevano acquistato il 737 Max, hanno deciso di lasciarlo a terra per misura precauzionale e la Boeing – finora ritenuta leader indiscussa della navigazione aerea – sta subendo un grave danno d’immagine che le ha già fatto perdere oltre venticinque miliardi di dollari.

Franco Nofori
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