Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 6 maggio 2019
Nelle ultime settimane si sono verificati nuovi scontri etnici tra gli amhara (rappresentano il ventisette per cento della popolazione, secondi solo agli oromo, che con il trentaquattro per cento è la prima etnia del Paese) e i gumuz. Si parla di duecento morti. Per arginare il conflitto, il governo di Addis Ababa ha inviato l’esercito per calmare gli animi nel nord-ovest dell’Etiopia, mentre le autorità di entrambe le regioni – Amhara e Benishangul Gumuz – stanno tentando una mediazione tra le parti per evitare una recrudescenza delle violenze.
Anche lunedì scorso, secondo fonti amministrative locali, sarebbero state uccise decine e decine di gumuz a Jawi, località al confine tra la regione Benishangul-Gumuz e Amhara. Si parla di ottanta feriti e oltre, mentre altre novanta, sopravvissute alla carneficina, sono stati portati nel cortile di una scuola vicina. Certamente si tratta di una rappresaglia alle violenze dello scorso fine settimana, durante le quali sono morte una ventina di persone di entrambe le etnie a Dangur, nella regione di Benishangul-Gumuz. E in base a quanto riferiscono funzionari locali, le aggressioni si sarebbero propagate velocemente dopo un litigio tra due lavoratori.
Conflitti inter-etnici sono all’ordine del giorno in Etiopia, quasi sempre causati da controversie sui confini distrettuali. Anche se il Paese è unificato politicamente da secoli, la convivenza di oltre cento milioni di persone, appartenenti a oltre ottanta gruppi, non è semplice. Molti osservatori ritengono che il federalismo etiopico, strutturato su basi etniche, potrebbe essere una delle cause delle rivalità comunitarie, una visione che però non è sempre condivisa.
Il Centro di monitoraggio degli sfollati interni (IDMC), un gruppo di studio con sede a Ginevra, la situazione umanitaria è peggiorata in modo significativo nell’ultimo anno. Attualmente 8,13 milioni di persone necessitano di aiuti alimentari.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) ha fatto sapere che attualmente ci sono oltre 2,35 milioni di persone hanno lasciato le loro case proprio a causa delle violenze; l’Etiopia risulta essere il paese con il maggior numero di sfollati al mondo, superando persino la Siria.
Due giorni fa quindicimila persone, ospiti di un campo nell’area di Gedeb, avrebbero dovuto far ritorno a West Guji (zona degli oromo), ma i più si sono rifitate di salire sui pullman. Sei tra loro, i portavoce degli sfollati, sono stati fermati dalle forze dell’ordine perchè hanno espresso la volontà della gente che ritiene sia prematuro essere rispediti a casa, l’area è ancora instabile. Secondo molti analisti è assolutamente necessario invitare esponenti della società civile nelle consultazioni delle autorità locali per costruire una pace durevole.
Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia, al potere da poco più di un anno, durante il suo primo discorso alla nazione nell’aprile 2018, aveva richiamato l’attenzione degli etiopi sulla necessità dell’unità etnica. Un percorso ancora lungo e in salita. Il governo di Addis Ababa dovrà effettuare riforme interne, sopratutto economiche, volte a creare occupazione e maggiore stabilità alle popolazioni in conflitto.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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