Franco Nofori
2 maggio 2019
Alla nostra redazione, arriva dalla Tanzania, l’appello che riportiamo di seguito: “Mi chiamo Yazmin. Sono un transessuale che lotta per i diritti LGBTQIA in Tanzania. (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Intersessuali, Asessuali, N.d.R.). Il Paese in cui vivo s’impegna per distruggere la nostra comunità con arresti, violenze fisiche e sessuali, pregiudizi, discriminazioni e ingiustizie. L’anno scorso, la situazione è ulteriormente peggiorata quando il governatore della regione di Dar es Salaam ha lanciato una caccia ai membri LGBTAIA. Sui social erano pubblicate liste di nomi per renderne pubblica l’omosessualità. Le persone sospettate di essere LGBTQIA sono state sfrattate dalle case. Per strada hanno subito molestie e lanci di pietre. Se già prima la nostra vita non era facile, con questa repressione è diventata un incubo. Uno dei pochi gruppi che resiste all’onda d’odio è la Eagle Wings Youth Initiative, un gruppo di attivisti coraggiosi che combatte per il bene delle persone LGBTQIA. In passato hanno fatto uno straordinario lavoro di sensibilizzazione, offrendo quell’assistenza sanitaria e legale indispensabile in momenti di crisi, ma devono superare ostacoli enormi. Di recente, un collettivo analogo è stato bandito dal governo per aver «promosso» i diritti LGBTQIA. Sono stati chiusi ambulatori che fornivano servizi legati all’HIV/AIDS e un gruppo di avvocati sudafricani è stato arrestato e deportato per il lavoro condotto sulla salute e i diritti LGBTQIA. In quest’ambiente ostile, per Eagle Wings è impossibile reperire localmente i fondi destinati al rifugio. Mancano soltanto 366 donazioni per rendere il nostro rifugio una realtà. Ci aiutate? Grazie del vostro sostegno”.
Le preferenze sessuali sono di carattere strettamente individuale ed è quindi comprensibile che molti non le condividano, questo non dà tuttavia il diritto di criminalizzarle o anche solo discriminarle. Nella maggior parte dei casi, essere gay, lesbiche o transgender, non è una scelta, ma un fatto determinato dal complesso equilibrio ormonale che è proprio di ogni creatura vivente. In quasi tutte le avanzate democrazie occidentali, si è ormai approdati a una ragionevole presa d’atto di questa realtà, fornendo a essa gli stessi diritti e le stesse prerogative di legge, riconosciute a ogni altro cittadino, ma restano, però molti i Paesi, in cui questa presa d’atto stenta a realizzarsi e non solo; si attuano repressioni, anche feroci, contro chiunque non rientri nella sfera dell’eterosessualità.
Tra questi, la Tanzania a guida John Magufuli che, benché firmataria dell’accordo internazionale sui diritti umani, continua la persecuzione contro i membri del LGBTQIA, ricorrendo addirittura alla pubblica delazione, come avveniva durante il regime sovietico o le dittature nazi-fasciste. Pare che nel solo distretto dell’ex capitale, Dar es Salam, al governatore in carica, Paul Makonda, siano pervenute oltre cinquemila segnalazioni da parte di comuni cittadini. Tutto questo, può certamente indignare, ma non stupisce, perché la campagna anti-gay, messa in atto dal governo, è largamente condivisa dalla maggioranza della popolazione ed è proprio in forza di questo consenso che il presidente Magufuli ha definito l’omosessualità come “un disgustoso male da estirpare”.
Il governo tanzaniano ha addirittura creato un corpo speciale, per dare la caccia agli omosessuali e pare che questi abbiano preso moto seriamente l’incarico, poiché in sole tre settimane hanno arrestato ventitré persone, tra Dar es Salam e Zanzibar, accusate di “pratiche contro natura”. La persecuzione dei gay non è comunque limitata alla Tanzania, ma si estende a una gran parte di Paesi africani, alcuni dei quali hanno adottato politiche ambigue, come il Kenya dov’è stato recentemente riconosciuto ai non transessuali, il diritto di associarsi, pur mantenendo nei loro confronti la criminalizzazione di eventuali rapporti intimi.
In Nigeria, i gay, rischiano fino a dieci anni di carcere, mentre in Uganda spetta loro l’ergastolo. L’omosessualità è punita anche in Marocco, Camerun, Burundi, Ghana, Senegal, Mauritania, Algeria, Angola, Somalia, Sudan, Zimbabwe, Zambia, Swaziland… insomma, sono ben trentotto su cinquantaquattro le Nazioni africane che criminalizzano l’essere gay, cioè il 70 per cento del totale. Il primato della lotta contro i gender considerati “anomali”, spetta comunque ai paesi del Golfo Persico, dove le misure contro l’omosessualità raggiungono il più alto livello di spietatezza, come in Arabia Saudita, Iran, Oman, Yemen, dove, non raramente, viene addirittura inflitta la pena di morte. Rigore alquanto singolare, considerato che le proibizioni di rapporti sessuali, prima del matrimonio, in vigore in quei Paesi, rendano più facili (almeno nell’opinione comune) promiscuità intime tra persone dello stesso sesso.
Sebbene il progressivo riconoscimento dei diritti a favore di gay, lesbiche e transessuali, cui molti paesi sono approdati negli ultimi decenni, le Nazioni che ancora adottano iniziative discriminatorie nel loro confronti, sono ancora troppe: circa un terzo del totale mondiale. Questo indica che il cammino verso la reale emancipazione di queste minoranze è ancora lungo e cosparso di ostacoli, ostacoli che non sono solo rappresentati dai governi in carica, ma lo sono soprattutto dai sentimenti popolari dei rispettivi Paesi, decisamente avversi a quelli che considerano “riprovevoli atti contro natura”.
Franco Nofori
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