Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 22 aprile 2019
Butembo, nel Nord-Kivu, una delle travagliate province della Repubblica Democratica del Congo, colpita dalla decima epidemia di ebola dal 1°agosto 2018, è stata nuovamente teatro di un attacco da parte di un gruppo armato.
Secondo il sindaco della città si tratterebbe di miliziani maï maï. Senza grandi difficoltà sarebbero riusciti a penetrare nell’ospedale universitario della città, che ospita anche un centro per la cura degli ammalati di febbre emorragica. Il commando ha fatto irruzione in una sala dove si stava svolgendo una riunione dell’equipe per il coordinamento del virus killer e hanno sparato sui presenti, uccidendo sul colpo Richard Valery Mouzoko Kiboung, un medico epidemiologo camerunense, e ferendo in modo non grave altre due persone.
L’Organizzazione mondiale della Sanità ha condannato l’ennesima aggressione al personale che lavora per salvare vite umane. Michel Yao, coordinatore dell’OMS per combattere ebola nel Nord-Kivu e Ituri, ha sottolineato che la battaglia comunque continuerà perché “abbandonare la lotta significa condannare a morte certa intere popolazioni. Ci auguriamo davvero che la gente stia al nostro fianco e condanni ogni forma di violenza”.
Dopo tre mesi dalle elezioni, il nuovo presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Tshisekedi ha iniziato la sua prima visita all’interno del Paese.
Martedì scorso è arrivato a Beni, nel Nord-Kivu, una delle province maggiormente colpite dall’ebola e dove centinaia di civili sono stati barbaramente massacrati dall’ottobre del 2014 ad oggi dai gruppi armati. Le autorità attribuiscono la maggior parte di queste carneficine ai miliziani dell’Alliance of Democratic Forces, un’organizzazione islamista terrorista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995.
Eliseo Tacchella, è un missionario comboniano, che ha vissuto per oltre trent’anni nella ex colonia belga. Ora è rientrato in Italia, ma non vede l’ora di tornare laggiù.
Ebola sta avanzando ad un ritmo sostenuto. Le cifre ufficiali non sono confortanti.
Sì, attualmente si parla di 883 persone uccise dal virus, mentre 1336 sono rimaste contagiate; tra loro anche 89 operatori sanitari.
Perché è così difficile combattere questa decima epidemia?
Spesso la popolazione residente nelle zone rurali non ha avuto accesso all’istruzione scolastica e molti sono convinti che ebola sia un’invenzione dello Stato. La gente si chiede come mai, proprio ora, il governo si occupa di loro, inviando dottori, equipe mediche per vaccinare a tappeto e arginare così il contagio. Da sempre li villaggi sono stati abbandonati a se stessi. Il governo ha brillato per la sua assenza lasciando intere comunità senza protezione dagli attacchi dei gruppi armati, in particolare nelle aree di Beni-Butembo.
Tanti residenti sono diffidenti e il loro ostruzionismo ostacola non solo la cura, ma anche la prevenzione. Alcune famiglie impediscono il ricovero dei loro congiunti e rifiutano di farsi vaccinare. Molti familiari dei morti aggrediscono gli operatori sanitari e cercano di bloccare la sepoltura corretta dei cadaveri. Il virus si trasmette tramite i fluidi corporei di chi è stato colpito dalla malattia. Per evitare la trasmissione del virus è assolutamente necessario che chi viene contagiato venga ricoverato in un reparto di isolamento. Se la popolazione non è disposta a collaborare, sarà difficile fermare in tempi brevi l’epidemia.
L’assenza dello Stato contribuisce ad aumentare supposizioni di cospirazione e complotti, visto che, secondo un sondaggio, un quarto della popolazione è convinta che ebola non esista, mentre quasi il 45,9 per cento crede che l’epidemia sia stata fabbricata ad hoc per destabilizzare la regione o per scopi economici.
E il ruolo della Chiesa cattolica?
In molti casi anche la Chiesa è stata accusata di non aver fatto abbastanza per la popolazione. Molti sono delusi perché si aspettavano più protezione da noi, in particolare per quanto riguarda gli attacchi da parte di miliziani armati; alcuni sono addirittura convinti che siamo complici delle autorità di Kinshasa.
Quali sono i maggiori gruppi armati attivi nella zona?
I maï maï sono guerrieri tradizionali, combattenti che si sottopongono a iniziazioni magiche e partecipano a riti esoterici; sono stati molto attivi negli anni ’90. Sono comparsi per le prime volte nelle guerriglie subito dopo l’indipendenza, nel 1960. Da tempo sono ricomparsi e sono responsabili di molti scontri avvenuti in tutto il Kivu. I maï maï dovrebbero proteggere la popolazione, ma di fatto quasi mai è così: razziano, rapinano, violentano…
Un altro gruppo armato responsabile di decine di stragi in quest’area è l’Allied Democratic Forces (ADF), che però spesso non opera da solo. I militari delle forze armate congolesi (FARDC), per esempio, sono stati accusati di aver appoggiato i miliziani di ADF, tra loro anche il generale Muhindo Akili Mundos. Secondo la Missione dell’ONU in Congo (MONUSCO), Mundos, comandante delle operazioni militari contro ADF nel 2014/2015, non sarebbe intervenuto durante gli attacchi contro i civili. Anzi, mentre era a capo delle truppe congolesi nell’area di Beni avrebbe appoggiato un sotto-gruppo dei terroristi ugandesi, conosciuto come ADF-Mwalika.
La visita Tshisekedi nel Nord-Kivu è stata positiva?
Certamente, prima di tutto il presidente ha chiesto ai gruppi armati di deporre le armi. Ha precisato: “Il vento è cambiato”. Ha inoltre sottolineato. ” Sono già pronti programmi per disarmo, smobilitazione e reintegrazione nella società”. Si è anche rivolto alla popolazione, promettendo loro di rafforzare il ruolo dello Stato e il ritorno dello Stato di diritto. La pace qui è stata una parola sconosciuta per troppo tempo.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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