Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 15 aprile 2019
Durante la notte tra il 14 e il 15 aprile 2014 i terroristi islamici Boko Haram rapiscono a Cibok, città nel Borno state, nel nord-est della Nigeria, 276 studentesse. Le giovanissime si trovavano in un collegio per sostenere gli esami di fine anno.
Alcune ragazze riescono a scappare quasi subito. Altre sono liberate in seguito. Sta di fatto che di molte di loro non si sa più nulla. Forse alcune sono morte, costrette dai loro aguzzini a farsi saltare per aria, mietendo morte e distruzione nella propria terra contro la loro volontà, dopo aver subito un lungo lavaggio del cervello.
Dopo ben cinque anni mancano all’appello ancora centododici ragazze. Pochi si ricordano di questa immensa tragedia, ma cinque anni fa, il mondo intero si era indignato per un attimo e già poche ore dopo era partita una delle più grandi campagne mai lanciate sui social network con l’hashtag #BringBackOurGirls.
Le mamme delle ragazze mai tornate a casa rivivono ogni giorno la tragedia. Alcune di loro tengono sempre in mano una piccola foto della loro bimba, istantanea ormai sbiadita dal tempo, quasi volesse cancellare il loro ricordo. Ma nel cuore di queste madri non si è mai affievolita la speranza di poter riabbracciare le loro figlie.
In questi cinque anni i politici nigeriani hanno fatto tante promesse ai genitori e alla popolazione che quotidianamente deve confrontarsi con la paura degli attacchi dei jihadisti.
Muhammadu Buhari, durante la sua prima campagna elettorale aveva fatto della lotta contro i Boko Haram il suo cavallo di battaglia. Appena eletto, nella primavera del 2015, aveva esclamato: “Entro la fine dell’anno avremo sconfitto i terroristi”. Non è andata così. Ora è stato appena rieletto per un secondo mandato e la Camera dei rappresentanti gli ha chiesto di dare risposte concrete a riguardo dell’insicurezza galoppante che ha travolto molte aree del Paese. Islamisti e non solo; anche scontri etnici e criminali comuni, la cui attività principale è basata sui rapimenti e sui proventi della corruzione, che ha investito tutti livelli della società nigeriana. Sono questi i maggiori flagelli del gigante dell’Africa.
Boko Haram
Secondo l’UNICEF, dall’inizio del conflitto sono state chiuse oltre millequattrocento scuole nel nord-est del Paese e più di duemiladuecento insegnanti sono stati uccisi. Almeno 2,8 milioni bambini non hanno accesso all’istruzione di base. Molti tra loro non vanno a scuola da anni o, addirittura, non ci sono mai andati. Sono dovuti fuggire dalle loro case e, così traumatizzati, ora si trovano in campi per sfollati o profughi nei Paesi limitrofi. Al 31 dicembre 2018 erano scappate da casa ma restate in Nigeria oltre due milioni di persone, mentre oltre duecento mila e trecento si sono rifugiati all’estero. Dal 2009, inizio dell’insurrezione dei terroristi, ventisettemila persone hanno perso la vita.
Numeri che certamente ora sono aumentati, visto che proprio pochi giorni fa l’esercito ha evacuato oltre duemila persone da Dumaturu, nello Yobe State, città già duramente provata da vari attentati. Il 1°dicembre 2014 una fazione dei terroristi, guidata da Abubakar Shekau aveva ucciso centocinquanta persone e nel giugno dello stesso anno altri ventuno abitanti avevano perso la vita per un’auto bomba.
Il trasferimento dei civili in un campo per sfollati vicino a Maiduguri, capoluogo dello Yobe State, secondo fonti della sicurezza nigeriana, si è reso necessario per effettuare operazioni militari nell’area.
Scontri etnici
Nel centro-nord della ex colonia britannica gli scontri etnici e gli incessanti attacchi dei pastori semi-nomadi fulani contro gli agricoltori seminano paura e morte. I residenti, contadini stanziali, sono per lo più cristiani, mentre i fulani sono musulmani.
Molti analisti e numerose organizzazioni umanitarie sono convinti che il conflitto tra pastori nomadi e contadini sia stato sempre sottovalutato dal governo centrale, eppure, come si evince da un rapporto di SB Morgan Intelligence Consulting, negli ultimi vent’anni durante gli scontri sono morte tra cinque a diecimila persone. Secondo la relazione della SB le milizie dei fulani sono da ritenersi più pericolose dei terroristi Boko Haram. E anche il database di Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) conferma che l’undici percento delle morti di civili in Africa sono causati da conflitti con pastori.
Criminalità
In molte parti della Nigeria i rapimenti di cittadini stranieri e benestanti locali sono assai frequenti. Generalmente vengono rilasciati dopo breve tempo dietro il pagamento di un lauto riscatto. Basti pensare a Sergio Favalli, sequestrato mentre percorreva la strada da Abuja verso Kaduna, dove nel recente passato molti altri occidentali sono caduti nelle mani dei criminali, liberato pochi giorni fa.
L’ex colonia britannica è considerata un Paese ad alto rischio, dove i sequestri si stanno moltiplicando in modo preoccupante. La mancanza di lavoro, la povertà, la galoppante corruzione, che impedisce una concreta pianificazione per lo sviluppo e la crescita economica delle comunità, sono alla base della criminalità diffusa.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
#BringBackOurGirls
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