AFRICA

Il Sudan e il finanziamento italiano al regime morente

Speciale per Il Fatto Quotidiano e per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
14 aprile 2019

Il 7 marzo scorso il Sudan era in pieno caos. Da poco meno di 4 mesi le piazze di Khartoum erano colme di dimostranti che chiedevano le dimissioni del presidente dittatore Omar Al Bashir, al potere da quasi trent’anni anni, grazie a un colpo di Stato. Eppure quel giorno il nostro ministero dell’ambiente rende operativo un accordo firmato nel novembre 2016 (alla fine del governo Renzi) con il governo sudanese e si impegna a versargli, attraverso la FAO, un milione e 611 mila 877 euro per due progetti agricoli.

Il finanziamento riguarda iniziative e aiuti per implementare la protezione e la cura del bestiame e all’adozione di misure che tendano a mitigare i cambiamenti climatici. Un progetto abbastanza complicato da attuare in un Paese corrotto fino al midollo dove i posti di potere quelli da cui si può sifonare con una certa facilità denaro, anche quello degli aiuti, fino a ieri erano in mano al clan del presidente Al Bashir, ricercato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja per una serie di nefandezze compiute durante la guerra in Darfur: genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, e stupro.

Manifestazioni di giubilo a Khartum alla notizia che Al Bashir è stato defenestrato

Non è un mistero che il regime del generale/presidente/dittatore a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 abbia dato ospitalità a Osama Bin Laden, che ha abitato a Khartoum fino al 1996, e in quel periodo ha tessuto la sua tela terroristica sfociata con i bombardamenti delle ambasciate americane a Nairobi e Dar Es Salaam, il 7 agosto 1998. I morti furono oltre 200.

E allora perché tanta solerzia nel finanziare con oltre un milione e mezzo di euro un governo con questi precedenti?

Oltretutto il comunicato con cui si annuncia questo aiuto richiama all’attenzione “la decennale e fruttuosa cooperazione tra la FAO e il governo del Sudan”. Ma la partnership non è stata del tutto produttiva. Alla fine degli anni ’80 inizio anni ’90 quando infuriava la guerra con il sud del Paese, l’Italia era costretta a pagare la tassa di importazione sul cibo che inviava alle popolazioni colpite dalla carestia. In quegli anni il Fai, il Fondo Aiuti Italiani guidato da Francesco Forte, aveva regalato camion e macchine movimento terra che erano state riconvertite ad uso militare. Non era difficile incontrarli per le strade di Khartoum con la loro livrea bianca e la scritta “Fai dono del governo italiano”, carichi di soldati. Per non parlare di alcuni silos per cereali, rosicchiati dalla sabbia del deserto e dal sole a Nyala, capitale del sud Darfur.

Lo scorso 7 marzo parecchi analisti avevano pronosticato la caduta del regime. Al Bashir sette giorni prima aveva tentato di rafforzarsi con rimpasti di governo e serrando i ranghi. In quell’occasione aveva nominato capo del suo partito, il National Congress, Ahmad Harun, altro ricercato dalla Corte Penale per le atrocità in Darfur, e governatore del Nord Khordafan, dove l’accordo attuale prevede il finanziamento di pompe solari. Il sospetto è quel denaro non fosse destinato a fini umanitari ma piuttosto a finanziare i janjaweed i criminali paramilitari filogovernativi “diavoli a cavallo” che hanno terrorizzato e sterminato le popolazioni in Darfur. Un aspetto ignorato dal governo italiano.

Ora i janjaweed sono stati assoldati direttamente dal governo di Bashir e, con finanziamenti anche europei, impiegati nel controllo della frontiere settentrionali del Sudan dove danno la caccia ai migrati.

A Khartoum intanto i dimostranti continuano a occupare le strade attorno al quartier generale dell’esercito e hanno raggiunto altri due traguardi: le dimissioni dei primi due leader militari che si erano insediati dopo il colpo di Stato (troppo legati al vecchio regime) e la cancellazione del coprifuoco, che peraltro nei giorni scorsi era stato violato.

La situazione è caotica: una parte dei militari è decisa a cambiare tutto e preme perché sia nominato subito un governo civile, l’altra non vuole a nessun costo lasciare il potere.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

Recent Posts

Lo storico israeliano Ilan Pappe racconta la pulizia etnica della Palestina

Speciale per Africa Express Filippo Senatore Gennaio 2025 Per comprendere le ragioni della Nakba (catastrofe)…

10 ore ago

Caos nel Sahel: misterioso attacco al palazzo presidenziale di N’Djamena, mentre il Senegal caccia la Francia

Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 9 gennaio 2025 Ieri sera, poco prima delle…

23 ore ago

Iran: lo “scollegato” caso Sala-Abedini, due liberazioni “simmetriche”

Speciale per Africa ExPress Fabrizio Cassinelli* 8 gennaio 2025 Si avvia all’epilogo il caso –…

2 giorni ago

Cecilia Sala va liberata subito lo dicono anche i soloni che volevano tenere Julian Assange in galera

Questo articolo è stato pubblicato prima che si sapesse della liberazione di Cecilia Sala Speciale…

3 giorni ago

Il figlio di Museveni e capo dell’esercito minaccia il leader dell’opposizione in Uganda: “Ti decapito!”

Africa ExPress 6 gennaio 2024 Non ha peli sulla lingua, Muhoozi Kainerugaba, capo dell'esercitodell’Uganda e…

4 giorni ago

Terremoto in Etiopia: Natale ortodosso magro per migliaia di sfollati

Africa ExPress 5 gennaio 2025 Migliaia di residenti sono stati evacuati dal governo etiopico a…

5 giorni ago