Massimo A. Alberizzi
6 aprile 2019
La frenetica attività diplomatica di ieri in Libia per evitare la guerra totale tre le fazioni non ha funzionato. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che si trovava a Tripoli, ieri pomeriggio è volato a Rajma, una cinquantina di chilometri a est di Bengasi, dove si trova il quartier di Khalifa Haftar. Ha tentato di convincere il generale che giovedì aveva ordinato alle sue truppe di marciare sulla capitale, di fermarsi e rinunciare all’assalto. Non c’è riuscito. In serata è partito dalla Libia lasciata “con il cuore gonfio di dolore”, ha confessato. Guterres sperava di convincere Haftar a sedersi alla conferenza di riconciliazione nazionale assieme a tutti coloro che sono stati invitati alla conferenza di riconciliazione nazionale, inizialmente prevista per la prossima settimana nell’oasi di Ghadames.
I soldati dell’Esercito Nazionale Libico di Haftar restano posizionati a un centinaio di chilometri dalla capitale che è praticamente circondata.
Le milizie fedeli al governo di Fayez Al-Serraj (riconosciuto delle Nazioni Unite, dall’Europa e dall’Occidente in genere) hanno serrato le fila e costituito una coalizione, chiamata “Ouadi Dum 2” per fermare il generale. Ouadi Dum è il nome della base militare che Gheddafi aveva costruito in Ciad, quando ha tentato l’invasione dell’ex colonia francese alla fine degli anni ‘80. La comandava l’allora colonnello Khalifa Haftar. La base fu conquistata (esattamente trentadue fa, il 7 aprile 2017) dai ciadiani e Haftar fu catturato. Fu un ecatombe: centinaia di soldati in fuga morti (i cui cadaveri furono abbandonati nel deserto); mezzi militari per un valore di oltre un miliardo e mezzo di dollari distrutti.
Serraj, che giovedì aveva proclamato lo stato d’emergenza, non ha usato la forza aerea contro i soldati di Haftar, come aveva minacciato di fare. “Tutti gli attori presenti sul palcoscenico libico – spiega un diplomatico raggiunto al telefono a Tripoli – sanno perfettamente che in caso di battaglia la capitale potrebbe essere distrutta e la guerra potrebbe continuare all’infinito. Quindi nessuno vuole lo scontro risolutivo. Haftar con la sua marcia su Tripoli ha tentato una prova di forza per evitare che i Fratelli Musulmani possano avere un ruolo nel futuro della Libia”.
Naturalmente sullo scenario libico è comparsa anche la Turchia, che sponsorizza appunto le frange islamiche del frastagliato mondo dell’ex colonia italiana. L’ex gran mufti di Tripoli ora in esilio a Istanbul, Sheikh Sadiq Al-Gharyani, sospettato di legami con i gruppi terroristi fedeli ad Al Qaeda, è intervenuto in un video dichiarandosi favorevole alla conferenza di riconciliazione dell’ONU. Pochi giorni fa sosteneva che quel vertice avrebbe asservito la Libia ai voleri degli “infedeli dell’Occidente”.
La guerra dal campo di battaglia ieri si è consumata sul piano della propaganda e dei social network. I seguaci di Haftar hanno postato un video di oltre 5 minuti dove si vede un lunghissimo convoglio militare formato da “tecniche” (camionette leggere su cui è montata una mitragliatrice pesante o un cannoncino, esattamente sul modello di quelle usate dai ciadiani per sconfiggere Haftar a Ouadi Dum) che sembrano nuove di zecca, in cammino verso Tripoli. Il filmato sostiene che le forze fedeli al generale hanno conquistato e si sono attestate al posto di blocco a 27 chilometri dalla capitale. La risposta è arrivata pochi minuti dopo. I sostenitori del governo hanno messo in rete un video in cui si vede Serraj che saluta i soldati a guardia di quel check point, pronti a difenderlo contro un eventuale attacco.
Massimo A, Alberizzi
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