Sandro Pintus
Firenze, 4 aprile 2019
Il primo decesso per colera è stato registrato nella città di Beira, distrutta dal ciclone Idai lo scorso 14 marzo. Ma da domenica scorsa è anche quintuplicato il numero dei contagi (erano 271).
Il 2 aprile l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) e Unicef hanno fatto arrivare 900mila dosi di vaccino orale per fermare l’epidemia. I vaccini sono stati finanziati da GAVI Alliance, ex Alleanza Mondiale per Vaccini e Immunizzazione, partnership pubblico-privata che aiuta l’accesso all’immunizzazione nei paesi poveri. Il 3 aprile le vaccinazioni sono iniziate.
Il Ministero della Salute del Mozambico ha confermato 1052 casi di colera. Di questi, 959 a Beira e 87 a Nhamatanda, un centinaio di km a nord ovest della città portuale ma il contagio si sta diffondendo rapidamente. Anche se dati riportati da GAVI Alliance, aggiornati al 3 aprile, parlano di 1500 casi.
Stephane Dujarric, portavoce delle Nazioni Unite ha confermato un alto rischio di diffusione di malattie infettive. Anche patologie causate da insetti come le zanzare: nelle aree colpite dal ciclone sono stati confermati 276 casi di malaria. Dujarric ha detto che a Beira e dintorni ci sono undici centri di emergenza, di cui nove operativi, per il trattamento delle vittime del colera.
Per il momento il numero totale delle vittime del ciclone nell’ex colonia portoghese è salito a 518. Se si aggiungono i 257 morti in Zimbabwe e i 57 in Malawi il bilancio sale a 832 decessi. Ma mancano ancora centinaia di dispersi che vengono alla luce quando si ritirano le acque che hanno causato le alluvioni.
Nella zona di Buzi a sud di Beira le strade sono completamente interrotte e l’area continua ad essere isolata. Può essere raggiunta solo via acqua o via aerea. La Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (IFRC) è riuscita a portare i primi aiuti e a dare il primo soccorso alle 20mila persone dell’area.
Le Nazioni Unite hanno confermato che nell’area centrale del Mozambico circa 1,8 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuto. Occorre acqua, cibo, medicinali, vestiti, coperte e tende. Sono già 90mila le persone che vivono nelle tendopoli.
Nel Paese africano operano varie ong: Medici per l’Africa CUAMM, Mani Tese, Cesvi, Comunità di Sant’Egidio e altre. Dal 26 marzo scorso sono arrivati anche gli aiuti italiani del Dipartimento della Protezione Civile.
Sono già al lavoro una quarantina di medici e altri operatori sanitari italiani che hanno portato Posto Medico Avanzato di secondo livello. Inaugurato il 30 marzo, il PMA in tre giorni di operatività ha dato assistenza a circa 160 pazienti. Nella sala operatoria sono stati eseguiti undici interventi chirurgici, due dei quali su pazienti in età pediatrica.
È operativo anche il trasporto di cibo del World Food Programme (WFP), il Programma alimentare mondiale ONU che lavora nelle emergenze. Ventiquattro ore su ventiquattro, dall’aeroporto King Shaka di Durban, in Sud Africa, partono voli con riso, piselli secchi, olio vegetale e altro. Un’assistenza alimentare d’emergenza che è in grado di fornire cibo per un mese a 160mila persone.
Sandro Pintus
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