Franco Nofori
Torino, 25 marzo 2019
Una decisione a lungo attesa dalle organizzazioni dei diritti umani, ma ancora fortemente osteggiata dalla gran parte della popolazione. Lo scorso venerdì, la Corte d’Appello di Nairobi, ha confermato la sentenza emessa in primo grado che legittimava le associazioni di gay e transessuali a essere regolarmente registrate in Kenya. La pronuncia è stata emessa con il rigetto della mozione presentata dal coordinamento centrale delle NGO nazionali, che chiedeva alla Corte di mantenere le associazioni omossessuali al di fuori della legalità.
Sentenza, questa, indubbiamente storica, pur se raggiunta con molta fatica e con il dissenso di due giudici su cinque. Daniel Musinga e Roselyn Nambuye, hanno, infatti, sostenuto che l’Alta Corte non ha giurisdizione nel merito e questa sentenza “è una scelta infernale che distrugge i valori culturali della Nazione”, ma i loro colleghi; Philip Waki, Asike Makhandia e Martha Koome, la ritengono invece in linea con il disposto costituzionale che garantisce pari dignità e pari diritti a tutti i cittadini.
Il dibattito sulla legittimità degli orientamenti sessuali in Kenya, è una questione che si protrae da molti anni e che solo recentemente ha iniziato a mostrare alcuni segnali di apertura. Il film “Rafiki”, che narrava di un amore lesbico ed era stato prodotto localmente, era stato ammesso al festival di Cannes, ma si era visto proibire la distribuzione nel Paese. Una settimana fa questa proibizione è definitivamente caduta e la sentenza che oggi autorizza l’associazionismo gay, è certamente un altro e importante passo verso l’allineamento del Kenya alle posizioni assunte in larga parte dai Paesi più progrediti.
Tuttavia, l’ostilità popolare verso gay, lesbiche e transessuali, resta molto accesa nel Paese e questa sentenza l’ha ulteriormente incattivita. Inoltre, la legislatura vigente, considera ancora i rapporti omosessuali, reati che prevedono – vecchio retaggio vittoriano – l’arresto e la detenzione. Pertanto, fino a quando il parlamento, non modificherà i disposti di legge in merito, si realizzerà il paradosso che i gay possono associarsi, ma non possono soddisfare le proprie tendenze sessuali, in ragione delle quali si sono appunto associati. Allo stato attuale, sembra però che il parlamento non sia per nulla disposto a legittimare tali atti. Per altro nel 2014 il parlamento keniota, tra le proteste delle deputate donne, ha legalizzato la poligamia.
Si è quindi raggiunta una vittoria di Pirro? Eric Gitari, co-fondatore della NGLHRC (National Gay and Lesbian Human Rights Commission), che ha presentato la petizione all’Alta Corte di Giustizia, si dice fiducioso. Del resto i grandi traguardi si raggiungono a piccoli passi, superando a uno a uno, i molti ostacoli che si frappongono al traguardo finale. “Questa decisione della Corte, non rappresenta solo una vittoria della nostra associazione – ha detto Gitari – ma una vittoria di tutti i nostri connazionali, che vede i fondamentali principi sui diritti umani prevalere sui troppi pregiudizi”.
A fornire conferma che si tratta di una vittoria – almeno per ora – parziale, sono gli stessi giudici che si sono espressi in favore della sentenza. “Si tratta di garantire i diritti umani dei Gay e delle lesbiche – hanno detto – impedendo che siano illecitamente discriminati, ma questo non legittima per nulla atti contro natura, che restano proibiti dal codice penale e come tali perseguibili ai sensi di legge”.
Franco Nofori
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