Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 25 marzo 2019
Non si arresta la spirale di violenze in Mali. Sabato uomini armati hanno massacrato almeno centotrentaquattro persone di etnia fulani tra loro anche donne e bambini, e hanno ferito altri cinquantacinque, nella regione di Mopti, nel centro della ex colonia francese.
Sabato mattina i criminali hanno dapprima preso d’assalto il villaggio di Ogossagou, poi si sono spostati a Welingara, che dista appena due chilometri dal precedente. Anche lì hanno ammazzato chi hanno trovato davanti a loro.
Oggi il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keïta, si è recato sul luogo della carneficina. Una scena apocalitica: case e bestiame bruciati ovunque. Ci sono squadre di soccorso un po’ ovunque, viene distribuito un po’ di cibo e medicinali ai sopravvissuti, ma non basta certamente per dare conforto agli abitanti ritornati sul luogo del disastro. Hanno perso tutto: i loro affetti più cari, oltre alle case, il raccolto, il bestiame. A tragedia consumata, ora i militari sono ovunque.
I fulani si occupano per lo più di pastorizia, mentre i dogon sono agricoltori. Per secoli le due etnie hanno convissuto in modo pacifico. Da qualche tempo, invece, gli attacchi ai fulani da parte dei dozo sono molto frequenti e, a causa di questi scontri interetnici, lo scorso anno sono morte almeno trecento persone.
Ma chi sono questi sanguinari delinquenti? Un gruppo di dozo, cacciatori tradizionali di etnia dogon, che già a gennaio avevano fatto una strage di fulani nel villaggio Koulogon, sempre nella zona di Mopti. Allora avevano ucciso trentasette fulani e incendiato parecchie case. La mattanza di questo fine settimana è il copione di ciò che è avvenuto a gennaio.
Ma non si tratta di semplici cacciatori, in realtà è il gruppo di autodifesa Dan Nan Ambassagou, creato nel dicembre 2016 dopo un attacco terrorista alla gente dogon. Lo ha fatto sapere il presidente e coordinatore del movimento, e ha aggiunto: “In assenza dello Stato e visto che l’esercito all’epoca non è stato in grado di proteggere i dogon, i cacciatori si sono riuniti sotto la guida di Youssouf Toloba, il nostro capo di stato maggiore”. Il gruppo ha come obiettivo la difesa dei dogon contro gli attacchi jihadisti riconducibili a Amadou Koufa, predicatore radicale di etnia fulani, e particolarmente attivo nel centro del Paese.
Già nel 2018 il gruppo di autodifesa era stato accusato da diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani per i suoi attacchi contro i civili fulani, fatti che Dan Nan Ambassagou ha sempre negato. Nel settembre 2018 hanno firmato un cessate il fuoco unilaterale e i responsabili hanno incontrato più volte il primo ministro Soumeylou Boubèye Maïga, per evitare che venissero disarmati.
Al momento attuale non è più in vigore il cessate il fuoco e sembra che il gruppo abbia una quarantina di campi nei territori dei dogon. Sta di fatto che durante il consiglio straordinario dei ministri di domenica 24 marzo il gruppo di autodifesa in questione è stato soppresso, inoltre sono stati silurati alcuni alti ufficiali delle Forze armate, tra loro il capo di Stato maggiore delle forze armate, e quello dell’esercito.
I responsabili Dan Nan Ambassagou hanno respinto l’ordine impartito da Bamako, negano di essere i responsabili del massacro. Insomma c’è ancora molta confusione. Intanto è stata aperta un’inchiesta per far luce sulla mattanza di sabato scorso.
Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU ha condannato fermamente questo massacro, chiedendo alle autorità maliane di aprire quanto prima un’inchiesta volta a portare i responsabili della mattanza davanti a un tribunale.
La situazione nella ex colonia francese diventa di giorno in giorno più complessa. Da un lato si accusano le forze armate di inerzia, ma dall’altra parte i militari stessi sono vittime di continui attacchi terroristici. L’ultima di una lunga serie di aggressioni è avvenuta la settimana scorsa nel campo militare di Dioura, nel centro del Paese. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, un gruppo di jihadisti sarebbe arrivato in sella alle loro moto, altri a bordo di diverse automobili e hanno distrutto una parte dei veicoli militari che si trovavano al centro del campo, altri sono stati portati via. Oltre venti soldati sono stati ammazzati e altri sono dispersi. Non è dato sapere se sono scappati o se sono stati rapiti dai jihadisiti.
Alcuni testimoni oculari hanno riferito che i terroristi erano ben informati sulla struttura del campo, si spostavano con estrema sicurezza da una parte all’altra, questo perchè sembra che a guidare il gruppo sia stato Ba Ag Moussa, un ex colonnello che da tempo ha disertato ed ora sarebbe molto vicino a Iyad Ag Ghali. Quest’ultimo è figura ben nota, vecchio indipendentista touareg, diventato capo jihadista e fondatore di Ansar Dine – in italiano: ausiliari della religione (islamica) – operativo per lo più nel nord del Mali, ma Iyad Ag Ghali è anche alleato con al-Qaeda e i talebani afgani e da due anni a capo di un nuovo raggruppamento “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani”.
Malgrado la presenza dei caschi blu dell’ONU (MINUSMA), dei militari francesi dell’Operazione Barkhane e del nuovo corpo tutto africano Force G5 Sahel, gli attacchi jihadisti continuano nel Paese. Secondo l’ONU, nel 2018 ce ne sono stati duecentotrentasette, ben undici in più dell’anno precedente.
Sia le autorità maliane che quelle francesi speravano in una diminuzione della furia jihadista, specie dopo aver dichiarato come morto Amadou Koufa, predicatore radicale di etnia fulani, e particolarmente attivo nel centro del Paese. In un primo momento si credeva che Koufa fosse stato ucciso in un raid delle forze speciali francesi. Ma a quanto pare è sopravvissuto al raid francese di fine novembre. Lo dimostrerebbe un video messo in rete da France24 il 28 febbraio 2019. Il predicatore radicale vorrebbe coinvolgere tutti i fulani dell’Africa occidentale alla causa jihadista.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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