Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 marzo 2019
La travagliata regione del Lago Ciad è stata attaccata la notte scorsa da miliziani di Boko Haram, uccidendo ventitré soldati ciadiani e ferendo alttri quattro.
I terroristi sono arrivati in piena notte a Dangdala, cittadina in prossimità delle sponde del Lago Ciad, mentre la maggior parte delle truppe riposava nei dormitori. I jihadisti sono poi fuggiti nel vicino Niger, portando con sé parecchio materiale militare.
Un imminente attacco era nell’aria, visto che militari ciadiani sono stati nuovamente inviati nella vicina Nigeria presso la Forza multinazionale incaricata di combattere il movimento jihadista. Due giorni fa le ambasciate occidentali e le Nazioni Unite avevavo diramato un bollettino di massima allerta attentati.
Miliziani di Boko Haram hanno sferrato un altro attacco nel vicino Niger, nel villaggio di Dewa, nell’aerea di Diffa, nel sud-est della ex colonia francese. Questa volta i sanguinari terroristi sarebbero arrivati in sella ai loro cavalli. Secondo un primo bilancio, otto persone avrebbero perso la vita, tra loro anche una donna.
Pochi giorni fa le Nazioni Unite e i suoi partner hanno chiesto un nuovo finanziamento di quattrocentosettantasei milioni di dollari per fra fronte alla gravissima situazione umanitaria che ha colpito il Ciad, in particolare il sud del Paese.
Violenze, sfollamento, migrazioni forzate, cambiamenti climatici e il totale collasso dei servizi essenziali hanno lasciato centinaia di migliaia di famiglie allo stremo. Attualmente 4,3 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari urgenti. Le organizzazioni umanitarie, in collaborazione con il governo di N’Djamena cercano di portare beni di prima necessità alla popolazione; pur troppo la mancanza di finanziamenti e problem legati alla sicurezza rendono davvero arduo questo compito.
Il Ciad, che confina con Libia, Sudan, Repubblica entrafricana, Niger, Nigeria e Camerun, da anni ospita anche profughi da questi Paesi, in fuga da bande armate, terroristi, e non per ultimo, da fame, che ha colpito in particolare la fascia del Sahel, aerea ad alto tasso di disertificazione.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), l’insicurezza alimentare è scesa del diciotto per cento nel 2019, grazie alla buona stagione agrigola. Malgrado ciò, ancora 3,7 milioni di persone necessitano di aiuti e 2,2 milioni di persone soffrono di malnutrizione. Trecentocinquantamila bambini sono colpiti da malnutrizione seria e rappresentano il cinquantanove per cento in più rispetto allo scorso anno.
La maggior parte degli sfollati sono donne e ragazzine, attualmente oltre seicentocinquantamila che tendono ad aumentare, visto il conflitto in atto nelle aree del lago Ciad. Il solo Ciad ospita anche quattrocentocinquantamila profughi provenienti da Paesi limitrofi.
Il servizio sanitario è al collasso per mancanza di fondi, ma era poco sviluppato anche prima della crisi. Oltre due milioni di persone hanno un limitato accesso alle cure mediche. Attualmente la ex colona francese sta combattendo contro un’epidemia di morbillo. Colera e epatite E sono sempre in agguato.
Ashta si trova da tre anni a Yakoua, un campo per sfollati vixino alla città di Bol, sulle sponde del Lago Ciad. “Abbiamo camminato per quattro, cinque giorni senza sosta prima di arrivare qui. Eravamo in tanti. Non ho portato nemmeno vestiti con me. Il villaggio che ci ha ospitato, ci ha dato quello che potevano. Dove vivevo prima stavo bene. Avevo giardini, sessanta piante di mango, molti terreni dove coltivavo il grano. Non ho più nulla. Ho dovuto lasciare tutto. Quando ci hanno attaccati sono scappata a piedi nudi”
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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