Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 10 marzo 2019
Utilizzare la carne del più grande mammifero del pianeta per farne cibo per gli animali domestici. Non è una provocazione ma la proposta del governo del Botswana per risolvere il problema del sovrannumero di pachidermi.
“Dei 415 mila elefanti che popolano l’Africa, 130mila vivono in Botswana ampiamente concentrati nell’area settentrionale – si legge in un tweet postato dal governo del Paese africano -. Il Piano di Gestione degli Elefanti del 2001 aveva raccomandato che ne avremmo potuto mantenere solo 54mila”.
Oltre a ciò, il governo dichiara che la spesa per mantenere un così grande numero di pachidermi richiede una grande quantità di risorse finanziarie. Secondo i dati del governo il divieto di caccia ha creato danni che nel 2014 erano di 4 milioni di pula (335 mila euro), cresciuti nel 2018/2019 a 21 milioni di pula (1,8 milioni di euro).
Africa’s total elephant population of 415 000, about 130 000 were in Botswana, largely concentrated in the northern part of the country, despite the 2001 Elephant Management Plan having recommended that Botswana’s environment could best maintain only 54 000 elephants.
— Botswana Government (@BWGovernment) March 2, 2019
Il tweet del presidente Mokgweetsi Masisi, lanciato nella rete, che annunciava la possibile reintroduzione della caccia all’elefante riempie di macabra letizia i pochi (ma sempre troppi) appassionati di caccia grossa.
Ha fatto invece imbestialire un vasto pubblico di amanti dell’Africa autentica e del Botswana che si sentono traditi da questo cambio di politica ambientale. Lo sfortunato tweet ha avuto risposte che andavano dallo sdegno alla decisione di non tornare in Botswana, ultimo baluardo del pianeta massacrato per denaro.
Alla notizia della fine del bando della caccia agli elefanti si aggiunge l’accusa dell’Environmental Investigation Agency (EIA), l’Agenzia di Investigazione per l’Ambiente, al Paese africano.
Da leader mondiale della conservazione è diventato un Paese che fa la politica dello struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia. È l’accusa che l’EIA fa al grande Stato dell’Africa Australe il quale finge di non vedere la gravità della situazione riguardo al bracconaggio.
Un atteggiamento sul problema degli elefanti tale da smentire anche il sondaggio aereo condotto nel 2018 da Elephants Without Borders (EWB), che aveva documentato il massacro di svariate decine di elefanti. Le immagini aeree mostravano la carcasse dei pachidermi, senza proboscide e zanne, ammazzati nel Delta dell’Okavango.
Ne erano stati contati 87 nell’arco di due mesi, cinque dei quali in pochi giorni ma l’indagine era stata smentita dal governo dell’ex protettorato britannico che aveva redarguito Mike Chase, presidente di EWB.
Secondo il monitoraggio dell’Illegal Killing of Elephants Program (MIKE) Programma sull’uccisione illegale degli elefanti, dice l’Eia, la strage continua sia in Botswana che in altri Stati del continente. Responsabili dell’eccidio dei pachidermi sono bande di bracconieri pagati dalla criminalità cinese.
Secondo l’EIA, riportare la caccia ai trofei non fermerà il bracconaggio, né introdurrà un commercio legale di avorio e altri prodotti a base di elefante. È pensare che il Botswana è stato membro fondatore dell’Elephant Protection Initiative (EPI), l’Iniziativa di Protezione degli Elefanti.
Sandro Pintus
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