Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 9 marzo 2019
Alla fine di febbraio gli albini del Malawi hanno invitato il governo di dichiarare il Paese non sicuro per coloro che sono affetti dalla loro malattia genetica e chiesto aiuto alle autorità per poter domandare asilo in altri Stati. “Siamo terrorizzati, stanchi di dover assistere inermi ad assassini e sparizioni e ci chiediamo continuamente chi sarà il prossimo tra noi”, ha dichiarato un rappresentante dell’associazione degli albini malawiani.
E ieri pomeriggio un folto corteo di persone affette da albinismo insieme ad un gruppo di sostenitori, è stato bloccato più volte dalla polizia nella capitale Lilongwe, lungo la strada che porta al palazzo presidenziale. I manifestanti volevano incontrare il presidente Peter Mutharika per consegnargli una petizione contro l’inasprirsi delle persecuzioni alle quali sono soggetti.
Infine Mutharika ha ricevuto una delegazione dei manifestanti, con la promessa di diramare l’allarme e due giorni dopo ha istituito una commissione di inchiesta, con l’incarico di indagare e far luce sugli assassini delle persone affette da albinismo.
Basterà? Nell’ex protettorato britannico gli albini sono chiamati “fantasmi” e fin dalla più tenera infanzia subiscono discriminazioni e vessazioni per il colore della loro pelle bianca. Anzi da anni vivono nel terrore, da quando bande criminali li cacciano come prede per vendere parti del loro corpo utilizzate per pratiche rituali di stregoneria. E se non vengono ammazzati, vengono mutilati, perchè con parti del loro corpo gli stregoni realizzano amuleti portafortuna.
E proprio in questi giorni è ripreso il dibattito sulla pena di morte contro le stragi degli albini. Samuel Tembenu, ministro della Giustizia e Affari Costituzionali, ha spiegato che la pena capitale è tutt’ora prevista dalla legge, ma non è mai più stata applicata dal 1994. E’ a discrezione della corte se infliggere o meno tale condanna ad un assassino, dunque anche ai killer di albini.
In vista delle prossime elezioni presidenziali, che si terranno nel Paese il prossimo 21 maggio, i maggiori partiti sono particolarmente interessati a problemi inerenti ai diritti umani, volti a proteggere anche gli albini.
Le formazioni politiche sono divise sull’applicazione della pena capitale; Hellen Chabunya, un’esponente di United Transformation Movement (UTM), citando Ghandi, ha spiegato: “Occhio per occhio ci rende ciechi” e ha aggiunto: “Dobbiamo combattere piuttosto l’omertà, le persone devono parlare, dire quello che sanno sui rapimenti e le uccisioni degli albini”.
“Ma succede anche – ha fatto sapere un rappresentante di Malawi Congress Party (MCP) – che chi vuole ed è disposto a confessare o a rivelare la verità, viene ucciso addirittura in carcere”. Molti sono convinti che la pena di morte sia l’unica soluzione per contrastare la persecuzione contro gli albini.
Negli ultimi anni sono stati accertati almeno centocinquanta casi, tra assassinii, attacchi o violazioni dei diritti umani nei confronti di persone affette da albinismo in Malawi. Gli esperti dell’ONU hanno sottolineato che il periodo pre-elettorale è particolarmente delicato e pericoloso per gli albini, proprio per la falsa credenza che parti del loro corpo portino fortuna e potere politico, se questi vengono utilizzati durante i rituali di stregoneria.
Recentemente un uomo è stato brutalmente ammazzato, un quattordicenne è misteriosamente sparito e un bimbo di pochi mesi è stato rapito La madre del piccolino è stata arrestata con l’accusa di essere connivente con i rapitori.
Gli esperti dell’ONU hanno suggerito alle autorità di Lilongwe di mettere a disposizioni agenti di polizia per proteggere gli albini. Anche Amnesty International nel suo rapporto dello scorso giugno ha vivamente raccomandato al presidente di riformare con la massima urgenza il sistema giudiziario del Paese affinché sia in grado di salvaguardare i diritti delle persone con albinismo, in quanto la maggior parte dei crimini commessi nei loro confronti restano impuniti.
“Le persone con albinismo devono ricevere giustizia per questi orrendi crimini” aveva precisato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa meridionale, nel suo rapporto. Le indagini durano troppo tempo e solo nel trenta per cento dei casi su quelli denunciati le investigazioni sono state portate a termine. Pochissime le condanne.
Cornelia i. Toelgyes
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