Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 febbraio 2019
Ieri sera durante un discorso alla nazione, Omar al Bashir, presidente del Sudan, ha dichiarato lo stato d’emergenza per una anno e ha dato il ben servito al governo.
Poche ore dopo il vecchio dittatore ha sciolto il governo centrale e quelli dei diciotti stati, i cui governatori sono stati sostituti con alti ufficiali militari. Poche ore fa è stato nominato anche il nuovo primo ministro, Mohamed Tahir Ayala, ex governatore di Gezira, stato situato tra la confluenza del Nilo Azzurro con il Nilo Bianco.
Il nuovo primo ministro è un fedelissimo di al Bashir, che nel novembre 2017 aveva dichiarato che avrebbe sostenuto la candidatura di Ayala alle presidenziali del 2020, nel caso dovesse decidere di non ripresentarsi alla tornata elettorale. Giorni fa, il capo di Stato sudanese aveva chiesto alla commissione che sta studiando la possibilità di cambiare la Costituzione per permettergli di presentarsi per un ulteriore mandato, di postporre le convocazioni già messe in calendario.
Il ministro della Difesa, Awad Mohamed Ahmed Ibn Auf, oltre ad essere ancora a capo del suo dicastero, è stato promosso a primo vice presidente del Sudan. Finora non sono stati cacciati nemmeno i ministri degli Esteri e della Giustizia.
Grazie allo stato d’emergenza, le forze di sicurezza hanno mano libera, possono sopprimere qualsiasi protesta e manifestazione. Le dimostrazioni sono iniziate il 19 dicembre, dopo l’annuncio del governo di voler triplicare il prezzo del pane. Le agitazioni si sono presto diffuse in tutto il Sudan fino a raggiungere anche la capitale; ora la gente chiede non solo una vita dignitosa, ma anche le dimissioni di Bashir.
Subito dopo le dichiarazioni del presidente di venerdì sera, centinaia di persone si sono riversate sulle strade della capitale Khartoum, urlando a gran voce slogan contro al Bashir e chiedendo le sue immediate dimissioni. La polizia ha risposto sparando gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, molti tra loro sono stati arrestati.
Dall’inizio delle proteste, oltre mille persone sono state fermate e sbattute in galera. E secondo diversi gruppi per la difesa dei diritti umani, i morti sarebbero ben oltre le trentuno dichiarate dal governo. Ma l’oppressione del regime autocratico di Omar al-Bahir, al potere dal 1989 dopo un colpo di Stato, non ha fermato la popolazione, stanca e allo stremo. La Sudanese Professional Association, che è tra i maggiori organizzatori delle agitazioni, han promesso nuove manifestazioni nei prossimi giorni.
I maggiori raggruppamenti politici all’opposizione hanno proposto un governo di transizione della durata di quattro anni, al termine di questo periodo dovrebbero svolgersi nuove libere elezioni.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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