Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 20 febbraio 2019
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha aperto un fascicolo su atti di tortura commessi da soldati o/e mercenari russi a Bambari, città al centro della Repubblica centrafricana. L’ONU ritiene che le informazioni a disposizione siano sufficientemente credibili per procedere ad un’inchiesta e allertare le autorità di Bangui.
Secondo il rapporto dell’Onu, un uomo sarebbe stato fermato a Bambari, dopo essere stato accusato dalla folla di appartenere ai miliziani ex Séléka (ribelli per lo più di fede musulmana). Militari o paramilitari russi lo avrebbero condotto alla loro base nella stessa città e lo avrebbero torturato per ben cinque giorni.
Il fascicolo contiene anche alcune foto, nelle quali sono ben visibili le ferite ancora fresche sulla schiena e contusioni importanti su molte parti del corpo dell’uomo che ha dichiarato di chiamarsi Mahamat Nour Mamadou. Tra l’altro la sua mano sinistra è fasciata, perché gli è stato tagliato l’anulare durante le torture, che duravano dalle 8 del mattino alle cinque del pomeriggio. I racconti dell’uomo sono molto dettagliati e ha sottolineato che i russi utilizzavano come interprete un membro delle Forze armate centrafricane (FACA).
La vittima ha inoltre dichiarato di essere un semplice commerciante e quando è stato bloccato dai russi, stava vendendo la sua merce al mercato di Bambari, città che anche nel recente passato è stata spesso teatro di atroci combattimenti tra gruppi rivali.
Il 23 gennaio 2019, il ministro degli Esteri francese, Jena-Yves Le Drian ha segnalato al Senato francese la presenza nella Repubblica Centrafricana di mercenari del gruppo Wagner.
I mercenari russi sono arrivati nella ex colonia francese un anno fa, insieme alle armi di Mosca. Putin aveva ottenuto una parziale abolizione dell’embargo imposto dall’ONU. In cambio il Cremlino gode di licenze per lo sfruttamento minerario.
Da qualche tempo il consigliere per la sicurezza di Faustin Archange Touadéra, presidente del Paese, è il russo Valery Zakharov, responsabile anche della sua protezione personale e da marzo 2018 quaranta uomini delle forze speciali di Mosca fanno parte della sua guardia del corpo.
I paramilitari della società militare privata Wagner, contractors al servizio del governo Russo, sono uomini pronti a tutto, addestrati alla guerra, quasi sempre ex militari delle forze armate moscovite.
Si è cominciato a parlare per la prima volta della Wagner nel 2014, per il loro impiego accanto ai separatisti in Donbass, in Ucraina. In seguito hanno svolto un ruolo importante in Siria. Il capo del gruppo è Dimitriy Valeryevich Utkin, nato in Ucraina nel 1970 ed ex colonnello delle forze speciali russe, molto legato al presidente. Da qualche tempo i paramilitari della società privata sono presenti anche in Africa. Nella Repubblica Centrafricana, appunto, e in Sudan.
Alla fine di luglio dello scorso anno sono stati uccisi tre giornalisti russi vicino a Sibout, città che dista un centinaio di chilometri da Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana. Le cause della loro morte non sono state chiarite; si sa solamente che si trovavano a Sibout per realizzare un’inchiesta sugli istruttori russi e la società militare privata Wagner.
Nell’autunno scorso è ricomparsa sulla scena anche la Francia e Le Drian durante la sua visita a Bangui aveva promesso nuovi aiuti al governo: ben ventiquattro milioni di euro e armi e c’è chi ora mormora che le torture inflitte al povero commerciante non siano altro che una montatura dei servizi segreti di Parigi per screditare la Russia.
Dopo anni di guerra civile, all’inizio di febbraio a Khartoum è stato firmato l’ottavo trattato di pace tra il governo di Bangui e quattordici gruppi ribelli. La popolazione ha sete di pace, è allo stremo, in più occasioni si è temuto il rischio di genocidio. Centinaia di moschee sono state incendiate, sacerdoti e altri religiosi sono stati barbaramente ammazzati. Sia musulmani che cristiani hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi.
Ora bisogna ricominciare a ricostruire la pace: accelerare il processo di riconciliazione e di giustizia e, ovviamente, un cessate il fuoco immediato. Entro novanta giorni dovrà essere creata una Commissione di verità, giustizia, riscatto e riconciliazione (Commission vérité, justice, réparation et réconciliation) (CVJRR). Ma già ieri il consiglio di sicurezza dell’ONU ha esortato i quindici firmatari ad applicare quanto prima l’accordo di pace, promettendo tutto il loro sostengo al presidente Touadéra.
La crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica del Paese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra gli anti-balaka e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico. Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.
Dall’era François Bozizé il Paese ha visto alternarsi ben quattro presidenti: Michel Djotodia, Alexandre-Ferdinand N’Guende, Catherine Samba-Panza e infine Faustin-Archange Touadéra, eletto nel marzo 2016.
Il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU (MINUSCA), che attualmente sono presenti con 13.595 uomini in divisa, oltre allo staff civile forte di 1.162 persone (tra volontari ONU, personale internazionali e locale).
Il 31 ottobre 2016 la Francia ritira ufficialmente le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per ben tre anni.
Secondo il rapporto ONU dello scorso settembre, nella ex colonia francese 2,9 milioni di persone su una popolazione di 4,5 milioni necessitano di aiuti alimentari con la massima urgenza. Alla fine di ottobre, secondo l’UNHCR, i rifugiati erano 574,638. Mentre gli sfollati 636,489, metà dei quali bambini, e migliaia di piccoli sono stati costretti a combattere con i gruppi armati.
Il Consiglio di sicurezza del Palazzo di vetro ha rinnovato l’embargo sulle armi per un altro anno, ma è possibile che possa essere sospeso parzialmente se il Paese dovesse rispettare le direttive dell’ONU. Inoltre è stato anche rinnovato il mandato di MINUSCA fino al 19 novembre 2019.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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