Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 11 febbraio 2019
Nel corso degli ultimi sei mesi, dal 1°agosto 2018, cioè dall’inizio della decima epidemia di ebola che ha colpito la Repubblica Democratica del Congo – settecentottantadue persone hanno contratto il virus della febbre emorragica. I morti sono stati finora cinquecentodue. E, secondo la ONG Save the Children, il trenta per cento delle vittime sarebbero bambini al di sotto dei cinque anni.
Heather Kerr, direttrice della ONG nel Congo-K ha fatto sapere che se non verranno prese misure immediate, l’epidemia durerà almeno altri sei mesi. Infatti, a gennaio – periodo post-elettorale molto teso in tutto il Paese – i malati sono passati da venti a quaranta ogni settimana.
Ieri l’Organizzazione Internazionale della Sanità (OMS) ha annunciato che a Beni, nel Nord-Kivu, le attività per arginare il temibile virus sono state riprese, comprese le vaccinazioni, dopo una breve interruzione per motivi di sicurezza.
Infatti, giovedì scorso la città è stata attaccata da un gruppo di uomini armati appartenenti alle milizie maï-maï. Secondo fonti dell’esercito congolese (le FARDC, Forces armées del la République Démocratique du Congo) i morti sarebbero almeno dieci. Il ministero della Sanità di Kinshasa aveva comunicato sabato scorso che tutte le attività sono state sospese, in quanto diversi scontri si sarebbero verificati proprio nelle vicinanze del centro d’urgenza e nei pressi di alcuni alberghi che ospitano operatori sanitari attivi nella lotta contro la diffusione e la cura dell’ebola.
I maï-maï sono milizie tradizionali che combattono dopo essere stati sottoposti a iniziazioni magiche ed esoteriche e sono stati molto attivi nella seconda guerra del Congo. Ma le loro tracce si possono già osservare nelle guerre seguite all’indipendenza, raggiunta nel 1960. Allora li chiamavano simba, cioè leoni in swahili; maï-maï vuol dire acqua. I miliziani credono infatti che le pallottole dei nemici a contatto con la loro pelle si trasformino in acqua e quindi non li uccidano. Da tempo sono ricomparsi e sono responsabili di molti massacri avvenuti in tutto il Kivu.
Tutta l’area di Beni è soggetta a frequenti attacchi da parte di diversi gruppi armati. I caschi blu della Missione di pace dell’ONU nel Congo-K (MONUSCO) pochi giorni fa hanno respinto una nuova offensiva da parte di miliziani Alliance of Democratic Forces (organizzazione islamista terrorista ugandese, operativa anche nel Congo-K dal 1995).
Inoltre, una granata, che fortunatamente non è esplosa, ha sfiorato l’abitazione occupata da sedici operatori di OMS, che in seguito sono stati evacuati da Beni a Goma, nell’est del Congo-K, per sottoporsi ad una terapia presso uno psicologo. Michel Yao, coordinatore nella lotta contro ebola nella ex colonia belga, ha puntualizzato che nessuno è stato ferito, ma di non sapere se l’ordigno provenisse dal campo di MONUSCO, oppure dalle forze armate congolesi o dai ribelli.
Il direttore generale di OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha fatto sapere che l’organizzazione continuerà a collaborare con il ministero della Salute di Kinshasa per arginare la temibile patologia, ma ha anche sottolineato di essere quanto mai preoccupato per la sicurezza dei suoi collaboratori e di tutti coloro che giornalmente sono impegnati per mettere fine a questo flagello.
Malgrado tutte le forze messe in campo, non è per niente facile debellare il virus. La popolazione è spesso diffidente e molti non si affidano alle cure mediche non appena appaiono i primi sintomi della malattia. Altri, invece, fuggono nelle foreste per mettersi in sicurezza dai continui attacchi dei ribelli e ciò rende estremamente difficile e complesso controllare l’espandersi della febbre emorragica.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes