Speciale per Africa Express
Franco Nofori
Torino, 10 febbraio 2019
Dal 1983 al 1987 il governo italiano era retto dal socialista Bettino Craxi e fu il quarto governo repubblicano che rimase più a lungo in carica. In quel periodo l’Italia diede un costante supporto al dittatore somalo Mohammed Siad Barre, un ex tenente dei carabinieri che, dal 1969 al 1991, tenne il proprio Paese in una morsa di terrore. Craxi fu accusato di aver sostenuto questo regime con sostanziosi e poco chiari contributi pubblici, che risultavano così ripartiti: un terzo a Siad Barre, un terzo alle sue forze armate e un terzo a non ben identificati “mediatori”.
Le dittature, soprattutto quando sono mantenute in vita con il terrore, non possono mai essere legittimate. Tuttavia, le non lontane esperienze dell’Iraq, della Libia, dell’Iran e della stessa Somalia, dimostrano in quali situazioni infernali possano cadere queste Nazioni quando le dittature che le opprimevano, sono rimosse con la forza o con il supporto d’interventi esterni. Gli stessi sostenitori del sistema democratico, appaiono titubanti quando si tratti di instaurarlo in Paesi le cui violente conflittualità interne, fanno ipotizzare scenari futuri tutt’altro che pacifici.
Siad Barre giunse al potere con un colpo di stato deponendo il presidente ad interim, Mukhtar Mohamed Hussein e attuando – almeno inizialmente – un sistema che, pur se autoritario, attuò alcune importanti iniziative a favore della popolazione: venne resa gratuita l’assistenza sanitaria, l’educazione scolare e fu decretata l’uguaglianza di tutti i cittadini. Fino agli inizi degli anni ’70 queste scelte valsero a Siad Barre un esteso consenso popolare che non coinvolgeva però il territorio a nord del Paese: il Somaliland, che fin dal 1962 reclamava a gran voce la propria indipendenza da Mogadiscio.
Questo dissenso riescì intollerabile a Siad Barre che, istituì una feroce polizia segreta, si affidò alla delazione, alla tortura e all’eliminazione fisica, per stroncare con la forza ogni tentativo di ribellione nei confronti della sua leadership. Quest’anno, come ricorda un articolo pubblicato sul periodico Internazionale del dicembre scorso, si compie il 30° anniversario di uno dei più efferati massacri attuati dal regime di Siad Barre contro i secessionisti dell’etnia Isaak, del Somaliland. L’eccidio è ricordato come l’Olocausto di Hargeisa, che è l’attuale capitale del Somaliland, uno Stato di fatto indipendente ma la cui indipendenza non è riconosciuto dalla comunità internazionale.
Le forze di repressione somale, massacrarono decine di migliaia di persone e la città di Hargeisa fu quasi completamente distrutta. Si stima che, tutt’oggi, nella periferia di Hargeisa, vi siano oltre duecento fosse comuni, tali da far meritare alla zona, il nome di “Valle della morte”. Ogni tanto, a seguito di piogge particolarmente insistenti, ne viene alla luce una, rivelando scenari raccapriccianti. Stando all’articolo dell’Internazionale, si presume che in soli due anni – tra il 1987 e il 1989 – gli sgherri di Siad Barre, abbiano ucciso più di duecentomila persone, pur continuando a ricevere supporto e finanziamenti da vari Paesi occidentali e, soprattutto dagli Stati Uniti d’America governati da Ronald Reagan e poi da George Bush senior.
Nel gennaio 1991 una rivolta costrinse Mohammed Siad Barre alla fuga. Il dittatore si rifugiò in Nigeria dove, quattro anni dopo morì a Lagos all’età di settantacinque anni. pochi giorni dopo aver lasciato per sempre Mogadiscio, il vecchio leader pronunciò una frase davvero profetica: “Dopo di me, la Somalia non sarà mai più governabile”. Infatti, quel gennaio 1991 segnò l’inizio della guerra civile e dall’ora la sventurata ex colonia italiana, ha conosciuto solo distruzioni, eccidi ed estrema povertà, favorendo l’emergere dei terroristi di Al Shebab e instaurando nel Paese un sistema di assoluta e sanguinaria anarchia.
Franco Nofori
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