Cornelia Isabel Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 7 febbraio 2019
Alla fine di gennaio la Guardia costiera colombiana ha fatto sapere di aver recuperato i corpi di dodici migranti di origine sub sahariana, tra loro anche sette bambini. Sarebbero annegati durante un naufragio verificatosi nei Caraibi.
Finora restano sconosciute le cause dell’incidente. I sopravvisuti hanno raccontato che sul barcone erano in trenta e, oltre alle persone decedute, diverse risultano ancora disperse. I trafficanti li stavano trasportando a Panama; tutti erano sprovvisti dei visti d’entrata e finora non è stata resa nota la loro nazionalità.
La regione nel nord della Colombia viene utilizzata da diversi anni da migranti cubani e africani con la speranza di poter entrare negli Stati Uniti e in Canada. Con la chiusura quasi totale della rotta libica, i migranti cercano nuove vie per fuggire da guerra, oppressione e povertà estrema.
Gli africani, per lo più eritrei, somali e camerunensi – ma ovviamente provengono anche da altri Stati del continente africano – raggiungono con un volo di linea l’Equador o il Brasile, che concedono senza troppi intoppi i visti d’entrata, per unirsi alle migliaia di migranti del Centro America, e da altre parti del mondo, tutti in fuga alla ricerca di una vita migliore.
I giovani di origine sub sahariana, una volta arrivati in America Latina, si affidano ai trafficanti di esseri umani, e questi spesso li costringono al contrabbando di droga mentre attraversano i vari confini.
Gli agenti dell’immigrazione messicana per la prima volta nel 2013, nella zona di Tapachula, vicino al confine con il Guatemala, hanno fermato sei giovani africani mentre tentavano di entrare in Messico. Negli ultimi anni ne arrivano a centinaia ogni giorno.
Generalmente il governo messicano rilascia un visto temporaneo ai rifugiati provenienti dall’Africa. Impossibile rimpatriarli, dato che i rapporti diplomatici con gli Stati africani non sono molto intensi. In pratica questo documento della durata di venti giorni, permette ai giovani immigrati di continuare il loro viaggio, senza essere nuovamente fermati e arrestati dagli agenti dell’immigrazione.
Sappiamo bene quanti giovani sono annegati negli ultimi anni cercando di attraversare il Mediterraneo per raggiungere le coste italiane. Nelle prime settimane di quest’anno sono già morte oltre duecento persone. Ma anche la rotta attraverso l’America Latina non è senza pericoli.
Hassan, di origini somale, è arrivato diversi mesi fa in Messico. E’ partito da Mogadiscio con l’aereo alla volta del Brasile. Poi ha attraversato ben sette Paesi, in parte con il pullman, camion, a piedi e con il barcone. Ha speso un mucchio di soldi, e quei pochi rimasti li tiene gelosamente nascosti nella biancheria intima e nei calzini, perchè capita che i migranti vengano attaccati, picchiati e derubati da bande criminali locali.
Il tratto più pericoloso di tutto il tragitto è il Darien Gap, una foresta pluviale montagnosa tra la Colombia e il Panama. Molti muoiono durante questa lunga marcia che dura almeno sei giorni. Il giovane somalo e tre suoi amici del Camerun raccontano di aver visto parecchi scheletri durante la lunga marcia. Generalmente gruppi di migranti si affidano dietro un lauto pagamento ad una guida, per non perdersi nella giungla. Non tutti “accompagnatori” sono persone oneste. Non di rado abbandonano il loro gruppo. Molti si perdono, non hanno la forma fisica per continuare, altri vengono attaccati da animali, o muoiono di stenti, altri ancora sono costretti a tornare indietro.
E Betrand, un ventuenne studente universitario camerunense, originario dalla regione anglofona del suo Paese, dice di essere scappato perchè è stato arrestato più volte dalle forze di sicurezza di Yaoundé. Vuole raggiungere la mamma, che già vive negli USA e aggiunge: “Una mano potente e miracolosa ci ha guidati finora. Nessuno rifarebbe mai questo viaggio una seconda volta. Abbiamo rischiato di morire più di una volta”.
Ora lo attende la parte più difficile: il confine con gli USA è praticamente blindato e riuscire a vacarlo senza essere fermati dalla polizia è un’impresa quasi impossibile.
La maggior parte di coloro che tentano questa via di fuga appartengono alla classe medio-alta del loro Paese di origine. I costi sono elevati, circa trentamila dollari a persona.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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