Sandro Pintus
5 febbraio 2019
I militari dello Zimbabwe dalle stelle alle stalle. Da eroi e protagonisti del “golpe soft” che ha fatto cadere il dittatore Robert Mugabe nel novembre 2017, oggi devono rispondere di pesanti accuse.
Non se la passa meglio il presidente della repubblica, Emmerson Mnangwagwa, l’uomo che avrebbe dovuto inaugurare il “nuovo corso”.
Dopo le dimissioni forzate del novantatreenne Mugabe e della moglie “Gucci” Grace, l’economia del Paese, allo sbando dal 2000, sarebbe dovuta rinascere.
Un’inchiesta compiuta dalla polizia dell’ex colonia britannica fa luce sulle terribili azioni dell’esercito zimbabwiano alle manifestazioni di gennaio. Le forze di sicurezza sono indagate per omicidio, stupro, torture e altre violenze.
Turpi azioni commesse durante le proteste contro l’aumento del prezzo del carburante prima e seguite dal malcontento per l’indiscriminato aumento dei prezzi che hanno portato nelle piazze i cittadini di tutto il Paese.
Secondo la polizia si tratta di violenze compiute da individui delle forze di sicurezza “non ligi” al proprio dovere. I militari “infedeli” sono accusati anche di aver rubato uniformi della polizia per confondere le tracce.
La Commissione per i diritti umani dello Zimbabwe, organismo finanziato dallo Stato, ha accusato i militari di aver usato la tortura in modo sistematico e il governo di aver utilizzato l’esercito per sedare le manifestazioni di protesta.
Mnangagwe, dopo aver visto su SkyNews un servizio che mostrava le forze di sicurezza mentre massacravano di botte un giovane, su Twitter espresso il suo sdegno sull’accaduto.
“Sono rimasto sconvolto dal servizio di oggi di SkyNews. Non è questa la strada dello Zimbabwe – si legge nel tweet -. Ho ordinato l’arresto delle persone coinvolte e incoraggio tutti coloro hanno subito queste violenze a contattare le autorità e presentare una denuncia ufficiale”.
Sulle brutalità delle forze di sicurezza anche la protesta delle donne che, vestite di nero, lo scorso 30 gennaio, hanno manifestato ad Harare contro gli stupri compiuti dai militari.
Le attiviste dell’Accademia delle donne per la leadership e l’eccellenza politica (WALPE) in una nota del loro movimento hanno sottolineato che in questo momento è difficile avere fiducia in un governo che non compie il suo dovere.
Pesante il bilancio della repressione alle manifestazioni di gennaio: dodici morti, centinaia di feriti e mille e cento arresti. Il governo è stato accusato essere diventato uno stato di polizia e sono arrivate le proteste delle organizzazioni umanitarie che hanno accusato governo di reazione sproporzionata contro i manifestanti.
In piazza sono scesi anche gli avvocati chiedono il ritorno allo stato di diritto e processi equi per le centinaia di persone che sono finite nelle patrie galere.
Sandro Pintus
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