Franco Nofori
Torino, 30 gennaio 2019
Ambigua dissertazione dell’ex leader nigeriano Olusegun Mathew Okikiola Aremu Obasanjo, un nome chilometrico che, a compitarlo per intero, rischia di far perdere il filo del discorso. Pur plaudendo alla democrazia, come al volano che favorisce lo sviluppo dell’Africa, Obasanjo ritiene che non sia il migliore antidoto contro i molti problemi che affliggono il continente. “La democrazia è un viaggio, non un traguardo – ha detto l’ex presidente – e non c’è Paese, in Africa, che possa dire di aver completato questo viaggio realizzando la democrazia”.
Un discorso sibillino che ispira anche un po’ d’inquietudine. Che cosa intende dire Obasanjo? Vuole forse sostenere che, se la democrazia è un percorso, il traguardo dev’essere la dittatura? “Se alla fine del viaggio verso il progresso, la democrazia non è riuscita a dare al popolo ciò che esso si aspettava – ha continuato Obasanjo – allora la democrazia non è stata altro che un grosso fallimento”. Quindi, quale altro sistema di governo lui suggerirebbe? Autocratico? Anarchico, retto da una selezionata élite che intrepreti la volontà popolare come predicava la teoria Marxista?
Olusegun Obasanjo è stato presidente della Nigeria dal 1999 al 2007 quando è stato sostituito da Umaru Yar’Adua, rimasto in carico per soli tre anni causa il suo prematuro decesso. Obasanjo, però, già nel lontano 1976, con il grado di generale, aveva retto le sorti del Paese a capo di un regime militare. Allora, aveva solo trentanove anni e aveva appreso l’arte militare dai dominatori britannici che concessero l’indipendenza alla Nigeria nel 1960. Malgrado questa estrazione bellica, va dato atto al giovane generale che, già durante questa sua funzione, egli s’impegnò a fondo affinché il potere fosse restituito ai civili attraverso elezioni democratiche.
Quando tornò al potere, non più a capo di un regime militare, ma come leader eletto dal popolo, Obasanjo fu apprezzato perché si dedicò a sanare la palude della corrotta burocrazia nigeriana; licenziò centinaia di militari che avevano tenuto posizioni politiche; formò una commissione che si occupasse stabilmente delle violazioni dei diritti umani; ripristinò la libertà di stampa; liberò molti prigionieri detenuti senza valide prove a carico; assicurò il diritto a professare qualsiasi credo religioso e riuscì a recuperare milioni di dollari che i precedenti governi corrotti avevano nascosto in conti segreti esteri. Questa sua determinazione nell’affrontare gli annosi e mai risolti problemi che avevano afflitto il Paese, gli valse una vasta popolarità interna e internazionale.
Sorprende, quindi, che l’ormai ottantatreenne Olusegun Obasanjo, tuttora rispettato dal popolo nigeriano, per aver tenacemente promosso la democratizzazione del Paese, esprima oggi, verso quella stessa democrazia, le serie riserve che abbiamo riferito. Quali sono le ragioni che motivano un così inaspettato cambio di passo?
Per capirlo, occorre esaminare con attenzione gli eventi che interessarono la Nigeria, all’indomani degli sforzi di Obasanjo per condurla alla democrazia. Dopo sedici anni d’ininterrotto regime militare, il popolo nigeriano aveva, della democrazia, un concetto alquanto peculiare che, in larga misura, lo portò a fraintendere il valore della conquistata libertà, con quello dell’anarchia. I primi conflitti sorsero tra il potere esecutivo e quello legislativo, mentre l’accesso al sistema federale creò forti tensioni tra i governatori locali e il governo centrale per l’accaparramento delle risorse disponibili.
Tuttavia, gli eventi più cruenti furono caratterizzati da alcuni dei peggiori mali che affliggono il continente africano: le accese rivalità etnico-religiose. Solo nel periodo tra il maggio 1999 e il settembre 2001, la Nigeria contò oltre quattromila vittime, prodotte da scontri tribali e religiosi, cui contribuì non poco anche la repressione attuata dalle forze governative di sicurezza, inviate per sedare le violenze.
E’ quindi abbastanza comprensibile che la fede di Obasanjo nel sistema democratico, se applicato all’Africa, sia oggi alquanto vacillata, non solo per quanto accaduto durante la sua presidenza, ma anche per aver assistito alla ripetizione degli stessi eventi durante l’alternarsi dei governi successivi, che sono stati invariabilmente sconfitti nel tentativo di placare queste sanguinose rivalità e – anzi – le hanno viste crescere a dismisura, fino a rivelarsi incontrollabili: i massacri dei cristiani; il rapimento di ragazze, poi stuprate e uccise; l’escalation della corruzione, che ha addirittura superato quella combattuta da Obasanjo durante la sua leadership.
Fatalmente, tutti questi eventi, mettono ragionevolmente in dubbio l’efficacia di un sistema democratico che, nella sua espressione fattuale, di democratico non ha quasi nulla. Applicando alcune teorie sperimentate in passato, si potrebbe sostenere che ciò di cui, non solo la Nigeria, ma l’Africa intera ha bisogno, sarebbe l’instaurazione di dittature illuminate che si occupino realmente del bene dei propri popoli, ma, ahimè, tutte le simili esperienze del passato, indicano che si tratta di speranze del tutto utopiche. Lo ricorda anche l’antica massima di Giovenale: “Quis custodiet ipsos custodes?” Chi controlla i controllori?
Franco Nofori
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