Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 24 gennaio 2019
“Ho vinto 200 mila dollari. Beh non so proprio che cosa potrò fare con tutti questi soldi..”. Correva l’anno 2015, 23 gennaio, venerdì, quando Lemi Berhanu Hayle, allora 21enne, aveva appena finito di correre e di vincere, all’esordio, la Dubai Marathon. Tanta ricchezza nella sua povera vita non solo non l’aveva mai vista ma neppure sognata.
“So di essere il secondo maratoneta etiope più veloce di sempre, spero ora di dare il meglio di me stesso in questa terza partecipazione alla Maratona di Dubai”: così ha detto pochi giorni fa Guye Adola, ventotto anni, etiope, che nel 2017 lasciò tutti a bocca aperta quando, a Berlino, dove da debuttante si classificò con il tempo strabiliante di 2 ore, 03m, 46s, alle spalle del recordman mondiale Eliud Kipchoge (segnò 2:01:39, ne scrivemmo su Africa ExPress).
“Dopo il quarto posto del 2015, punto alla vittoria” , si è lasciato scappare Feyisa Lilesa, 28 anni, argento olimpico a Rio 2016 quando al traguardo incrociò le braccia in segno di protesta contro il governo etiopico accusato di aver massacrato centinaia di Oromo, la sua etnia di appartenenza. Per questo suo gesto antigovernativo, Lilesa è stato a lungo esiliato negli USA. Le ultime elezioni nel suo Paese però hanno decretato un nuovo governo e Lilesa è tornato a casa dopo aver vinto due importanti mezze maratone quali quelle di New York e di Bogotà. Ora riparte con la seconda volta nella gara dell’emirato che apre la stagione mondiale delle lunghe distanze: tra maratone e mezze maratone fino al 1° dicembre ce ne sono in calendario ben ventisei.
E comunque si scrive Dubai ma si legge Etiopia. Alla vigilia della maratona dei record, la più veloce, la più ricca, la più spettacolare tra i grattacieli più alti e costosi del mondo, i corridori etiopi hanno lasciato intendere che il loro impero non deve essere scalfito. Vogliono che resti incontrastato il loro dominio sulla corsa che prende il via alle 4 di notte italiane di venerdì 25 gennaio di fronte all’enorme, spettacolare, esagerato complesso residenziale, alberghiero commerciale Madinat Jumeirah.
I numeri parlano chiaro: negli ultimi undici anni tra gli uomini hanno vinto solo etiopi. Le donne hanno fatto ancor meglio: prime per dodici anni consecutivi a partire dal 2007. Nel 2018 la supremazia “abissina” è stata quasi imbarazzante sia tra i maschia sia tra le femmine: la classifica ai primi dieci posti esibisce una sola bandiera, quella dell’Etiopia!
Ora a mettere le mani sui duecentomila dollari di premio in palio della ventesima edizione della”Standard Chartered Dubai Marathon” si sono candidati in quattro, tre uomini e una donna. I primi sono i citati Guye Adola Idemo e Feyisa Lilesa, entrambi di ventotto anni e della stessa etnia degli Oromo, e il più giovane (ventiquattro anni), Lemi Berhanu Hayle. La donna è Worknesh Degefa Debele, pure ventottenne, nel 2017 vittoriosa all’esordio. Un successo avvelenato da polemiche politiche: dopo ave esultato con la bandiera verde-giallo-rosso con il sigillo di Salomone, un gruppo di tifosi oppositori del governo le passarono un vessillo senza quel sigillo, emblema della nazione. Quando se ne accorse, ripose la bandiera e fu sommersa dalle critiche.
La Standard Chartered Dubai Marathon (questa la denominazione completa della gara dal nome della multinazionale finanziaria che la sponsorizza), pur super reclamizzata, ha effettivamente un suo fascino particolare soprattutto perché “il percorso piatto e velocissimo e la partenza all’alba offrono condizioni ideali per chi deve coprire i quarantadue chilometri e 195 metri in tempi da record”, ha dichiarato uno dei più noti agenti di campioni, l’italiano Gianni Demadonna (nella sua squadra corrono proprio Berhanui e Degefa).
Ha aggiunto il direttore dell’evento Peter Connerton : “Dubai non fa parte delle maratone cosiddette Majors (Tokyo, Boston, Londra, Berlino, Chicago, New York, ndr) anche se rientra fra gli eventi tra più importanti nel suo genere. E infatti fa parte della categoria cosiddetta Gold Label, ed è l’unica del genere nel Medio Oriente. Si trascura, però, quel dettaglio non proprio irrilevante che la caratterizza: è la più veloce del mondo. Qui si sono realizzati tredici dei cinquanta tempi maschili più veloci di tutti i tempi e dodici di quelli femminili. Nel 2017 è stata la più rapida di tutte, e nel 2018 ha rappresentato un momento storico: tra gli uomini, bene sette hanno tagliato il traguardo con un tempo inferiore alle 02:05:00 alle spalle del vincitore Mosinet Geremew Bayh. Mentre tra le donne, quattro sono scese sotto le 02:20:00”.
Insomma in vent’anni questa competizione è entrata di prepotenza nell’elite del running mondiale.
Grazie anche al milione di dollari di montepremi continua ad attirare sponsor e partecipanti, almeno trentamila. Oltre alla maratona, poi si svolgono anche altre gare: quella dei dieci e dei quattro chilometri e quella degli atleti in carrozzella.
Tutto bene, dunque, tutto pronto per il grande evento che sta per realizzarsi all’ombra degli 829 metri del Burj Khalifa e dei 321 del Burj Al Arab. Sì, ma c’è qualche runner illustre che non potrà essere presente e per ragioni poco onorevoli. Parliamo della campionessa keniota Lucy Wangui Kabuu, trentaquattro anni, dominatrice dell’ultima maratona milanese (8 aprile 2018) ma soprattutto classificatasi seconda proprio a Dubai nel 2012 ( ed era esordiente nella maratona!) con il tempo di 2 ore, 19 minuti e 34 secondi, il che voleva dire che era l’ottava donna più veloce di sempre sulla distanza di Filippide. Lucy stavolta dovrà starsene a casa: è stata squalificata dal Tribunale antidoping della Iaaf (l’associazione internazionale delle federazioni di atletica) per due anni. Sottoposta al controllo è risultata positiva alla morfina. Lei si è difesa adducendo ragioni mediche. Non è stata creduta, anche perché è la seconda volta che è stata colta con le mani nel sacco sporco. Non potrà gareggiare fino al 31 luglio 2020.
Per i greci c’erano i maratoneti, ma anche i maratonomachi, ovvero coloro che nel 409 A.C. combatterono a Maratona contro i Persiani. Quella generazione di ateniesi era considerata di costumi sobri e incorrotti. Lucy e altri come lei dovrebbero ripassare un po’ di storia, che – come ha scritto Cicerone – è luce della verità e maestra di vita.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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