Roma, 23 gennaio 2019
L’Italia finanzierà totalmente lo studio di fattibilità della ferrovia che collegherà Addis Abeba con il porto eritreo di Massawa. L’ha promesso il premier Giuseppe Conte al primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, in visita a Roma. Conte si era recato ad Asmara e ad Addis Ababa lo scorso ottobre. Poche settimane prima Eritrea ed Etiopia avevano siglato un secondo trattato di pace a Gedda, in Arabia Saudita, in presenza di Salman bin Abdulaziz Al Saud, monarca del regno wahabita, del principe ereditario, Mohammed bin Salman, e del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.
Il primo accordo di pace, firmato a luglio tra i due leader, prevede, appunto, tra le altre cose, anche il ripristino dei trasporti e del commercio. E certamente proprio in base a questo articolo del trattato è scattata la promessa italiana. Un progetto per la ferrovia. Peccato che negli anni ’90, quando la pace regnava tra i due Paesi “cugini” del Corno d’Africa, una delegazione dell’allora Ferrovie dello Stato, guidata da Sara Stefanelli, si era recata ad Addis Abeba per studiare l’ammodernamento della vecchia strada ferrata che collega la capitale etiopica a Gibuti o trovare delle alternative verso i due porti eritrei Assab, appunto, e Massawa.
I tecnici italiani scartarono entrambe le ipotesi e giudicarono più conveniente la prima alternativa, perché il tracciato delle due discese verso l’Eritrea erano troppo impervio, costoso e difficile da realizzare. Ora la Addis-Gibuti è stata rammodernata dai cinesi mentre è abbastanza superficiale sostenere che la pace tra i due Paesi del Corno d’Africa è fatta e che quindi sono spalancate le porte dello sviluppo. Non è così e non sarà così finché la dittatura sanguinaria che comanda ad Asmara non sarà mandata a casa. Sperare anche di bloccare il flusso dei migranti investendo cifre colossali in infrastrutture è utopistico. La gente fugge perché è difficile vivere sotto un regime che ha imparato molto dal fascismo: repressione, mancanza di libertà e divieto di pensare, impoverimento di tutti. Quindi quella di Conte più che una promessa sembra proprio una boutade che sa tanto di campagna elettorale permanente.
L’annuncio del primo ministro italiano, poi, è stato fatto in assenza del leader eritreo Isaias Afeworki. Probabilmente Afeworki sarà stato informato da Conte stesso durante la sua vista in Eritrea, visto che i binari attraverseranno il Paese, ma come sempre accade nell’ex colonia prediletta italiana, la popolazione non viene informata delle decisioni del governo. E d’altronde, durante i primi colloqui di pace ad Addis Ababa, Isaias, abbracciando Abiy, ha detto: “Wokillina”, nominandolo sul campo procuratore generale per quanto concerne l’iter per la riappacificazione.
Ma non solo. Il governo eritreo vuole sempre controllare i conti degli aiuti (e ciò sarebbe un bene) sennonché non si limita al controllo ma anche vuol decidere come indirizzare il denaro. Le conseguenze sono assolutamente negative perché parte degli aiuti – sì, quelli che dovrebbero fermare l’esodo dei migranti – finiscono nelle casse del governo o nelle tasche di funzionari corrotti.
Anche se la pace con il nemico di sempre è fatta (almeno a parole), all’interno dell’Eritrea, finora, non è cambiato proprio nulla. I giovani, che tanto speravano in un futuro diverso, sono ancora costretti a un eterno servizio militare/civile. Ed è bene ricordare che alla vigilia del 18 settembre, una data che nessun eritreo dimenticherà mai (quel giorno del 2001 sono finiti in galera ministri e leader che chiedevano la democratizzazione del Paese), è stato arrestato ad Asmara, l’ex ministro dell’Economia Berhane Abrehe, “colpevole” di aver pubblicato un libro in due volumi, nel quale critica aspramente il governo, non lesinando, naturalmente parole dure contro il dittatore Isaias Afeworki. Nel suo lavoro Berhane ha sollecitato un ordinamento democratico e ha chiesto in modo esplicito al tiranno di convocare l’Assemblea Nazionale, sfidando infine personalmente Isaias, invitandolo a presentarsi a un dibattito pubblico.
Ovviamente il colloquio tra Conte e Abiy non si è fermato alla ferrovia. Si è parlato anche – ed è stato uno dei punti chiave dell’incontro – della necessità italiana di arginare i flussi migratori. Se le frontiere dell’Italia sono ormai chiuse, l’Etiopia continua ad accogliere profughi in fuga e, proprio pochi giorni fa, il parlamento ha deliberato una nuova legge che prevede maggiori diritti per i rifugiati. Nella gara dell’accoglienza il Paese è secondo solo all’Uganda: ospita novecentomila persone in ventisei campi. Ora avranno, tra l’altro, la possibilità ad accedere gratuitamente all’educazione primaria, ottenere permessi di lavoro regolari, potranno avere la patente di guida, potranno registrare le nascite e i matrimoni e ottenere altre agevolazioni.
Africa ExPress
@africexp
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