Franco Nofori
Torino, 14 gennaio 2019
Ultimo tra i paesi africani che già l’anno fatto, il Kenya, a partire dal prossimo anno, inserirà tra le materie dell’istruzione primaria, anche la lingua cinese. Il nuovo soggetto di apprendimento avrà inizio a partire dalla quarta classe e riguarderà quindi gli scolari dai nove anni in su. Non si tratterà, tuttavia, di una materia obbligatoria, ma sarà disponibile solo per quegli allievi che ne faranno richiesta.
Malgrado questa libertà di scelta, dichiarata dal ministro per l’istruzione keniana, Fred Matiang’i, le pressioni governative sull’apprendimento della lingua cinese, si sono fatte insistenti e inoltre, in un futuro molto prossimo, non sarà facile per le nuove generazioni, trovare lavoro senza la conoscenza di questa lingua, poiché la gestione delle maggiori infrastrutture del Paese sta via via passando sotto il controllo cinese.
In Cina si parlano ben otto lingue diverse, alle quali si aggiungono centinaia di dialetti. Si tratta d’idiomi molto diversi l’uno dall’altro, al punto da rendersi del tutto incomprensibili per chi non li conosca. Il mandarino, che deriva dall’antica dinastia imperiale Han, originaria del nord e un tempo considerata terra di barbari incolti, è stata adottata come lingua ufficiale, benché, malgrado questo, non tutti i cinesi sono ancora in grado di parlarla correttamente.
L’apprendimento di grammatica, sintassi e pronuncia, della lingua cinese, è piuttosto ostico per gli occidentali e per i paesi di loro influenza. La fonetica è del tutto peculiare, in quanto la stessa parola può assumere significati del tutto diversi secondo l’intonazione con cui la si pronuncia. Ecco perché sono in molti a definire l’idioma cinese come una “lingua cantata”. Alla decisione presa dal governo keniano, è stato dato grande risalto dai media asiatici che lasciano trasparire il compiacimento di Pechino per la scelta del partner africano.
La Cina conta già, nel mondo, 516 istituti per l’insegnamento della propria lingua ed è seconda solo alla Francia che ne conta 931. Nel motivare la sua decisione, il governo del Kenya ha dichiarato che la Cina è un’economia in forte sviluppo e che il mandarino è la lingua più parlata nel mondo. Su questo non ci sono dubbi, visto che la popolazione cinese conta quasi un miliardo e 400 mila abitanti, più o meno un quinto dell’intera popolazione mondiale, ma non si tratta certo della più diffusa, che resta in termini indiscussi, la lingua inglese. Appare evidente che quest’orientamento africano verso l’apprendimento del cinese, è la conseguenze dell’inarrestabile coinvolgimento commerciale che il continente ha con Pechino.
Tramite il proprio Confucius Insitute, che ha anche creato una sezione presso l’università di Nairobi, la Cina ha offerto la massima collaborazione al Kenya, per lo sviluppo dei nuovi corsi, rendendo disponibili insegnanti delle proprie università. Gli insegnamenti di Confucio, il grande e universalmente riconosciuto filosofo cinese che visse 500 anni prima di Cristo, non pare abbiano molto da spartire con la Cina odierna, soprattutto riguardo ai principi da lui propugnati di rettitudine e giustizia.
Comunque, con o senza l’approvazione di Confucio, Pechino si mostra ben intenzionata a fornire all’Africa tutto il supporto necessario per la diffusione della propria lingua. “Un gesto di estrema gentilezza – commenta ironicamente il quotidiano online Face to Face Africa – ma non dimentichiamo che il Confucius Institute altro non è che un organo di propagando che fa capo al governo Cinese”.
Franco Nofori
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