Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 6 gennaio 2019
Il 31 dicembre 2018 il governo del Burkina Faso ha dichiarato lo stato di emergenza in diverse province del Paese a causa dei frequenti attacchi dei jihadisti. Inizialmente le incursioni dei terroristi erano per lo più concentrate al confine con Niger e Mali, ma ora si sono estese anche in altre regioni, in paticolare nell’est, nelle zone confinanti con il Togo e il Benin.
In seguito ad una riunione con i vertici militari, il presidente, Roch Marc Christian Kaboré, durante un Consiglio dei ministri straordinario, oltre aver dichiarato lo stato d’emergenze in diverse zone, ha dato anche disposizioni particolari sulla sicurezza che devono essere estesi su tutto il territorio nazionale.
Tali misure si sono rese necessarie dopo l’uccisione di dieci gendarmi in prossimità del confine con il Mali; l’attacco è stato rivendicato dal raggruppamento terrorista Jama’at Nasr al-Islam wa al-Muslimin (Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani), formato dall’unificazione di diverse formazioni armate, già attive da anni nell’area. Il raggruppamento, creato nel marzo 2017, è capeggiato da Iyad Ag-Ghali, alleato con al-Qaeda e i talebani afgani. Amadou Koufa, un predicatore radicale maliano, di etnia fulani, e capo del “Fronte per la liberazione di Macina” – uno dei gruppi che hanno aderito alla nuova formazione terrorista – secondo alcune fonti, sarebbe stato ucciso durante un raid delle forze speciali francesi in Mali lo scorso novembre.
Attualmente le forze burkinabé sembrano non essere in grado ad arginare gli incessanti attacchi dei jihadisti e gli osservatori stranieri temono che presto possano espandersi anche in altre zone della ex colonia francese.
Il Burkina Faso è diventato un target dei gruppi affiliati ad Al Qaeda e negli ultimi anni si sono susseguiti anche ben tre attacchi nella capitale Ougadougou. Nel 2016 era stato preso di mira l’Hotel Splendid e il caffè-ristorante “Cappuccino”, mentre nell’estate del 2017 è stata la volta del ristorante Aziz Istanbul e nel marzo 2018 ci sono stati ben due assalti in pieno centro della capitale: l’ambasciata francese e lo Stato maggiore dell’esercito sono stati attaccati da uomini armati. Durante questi tre attentati sono morte sessanta persone, tra loro anche parecchi stranieri.
I continui assalti dei jihadisti sono dovuti quasi certamente alla presenza dei soldati francesi dell’operazione Barkhane, operativa in tutto il Sahel con oltre quattromila uomini, proprio per contrastare il terrorismo. Inoltre, il Burkina Faso è anche membro del G5 Sahel – insieme a Niger, Mali, Mauritania e Ciad – che recentemente ha dato il via ad un nuovo contingente tutto africano (Force G5 Sahel), che stenta ancora a decollare e combattere attivamente la presenza dei gruppi armati affiliati ad al Qaeda nei cinque Paesi coinvolti.
I conflitti inter-etnici sono un’altra piaga in Burkina Faso. Il 25 dicembre un gruppo di uomini armati ha attaccato Yirgou, villaggio abitato per lo più da pastori fulani, nel centro-nord del Paese. Il bilancio dei morti è molto alto. In un primo momento il governo aveva annunciato che sedici persone erano state brutalmente ammazzate, mentre pochi giorni fa ha ammesso che in tale occasione hanno perso la vita quarantasei residenti. Un testimone oculare riferisce, invece, che i morti sarebbero almeno quarantotto, quasi tutti di etnia fulani.
“Appena sono arrivato sul posto, i Koglweogo, un gruppo di autodifesa di etnia Mossi, stavano bruciando le case dei fulani”, ha riferito il testimone e ha aggiunto: “Ora non ci sono quasi più giovani nel villaggio, non restano che donne, bambini e vecchi, perché gli assalitori appena giunti sul posto, sono entrati nelle abitazioni e hanno sgozzato i maschi”.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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