Khartoum, 4 gennaio 2019
I maggiori raggruppamenti politici sudanesi dell’opposizione hanno lanciato appelli per altre proteste nelle piazze e nelle strade e per chiedere le dimissioni di Omar al Bashir, presidente del Sudan dal 30 giugno 1989. Già per oggi sono previste manifestazioni in tutto il Paese, mentre per domenica è in programma una marcia a Khartoum verso il palazzo presidenziale sulla sponda del Nilo, per invitare il capo di Stato a lasciare il suo incarico, mentre per mercoledì prossimo è prevista un’altra ancora per chiedere il cambio di regime.
Le proteste sono iniziate il 19 dicembre, dopo l’annuncio del governo di voler triplicare il prezzo del pane, che si sono presto diffuse in tutto il Sudan fino a raggiungere anche la capitale; ora la gente chiede non solo una vita dignitosa, ma anche le dimissioni di Bashir.
La popolazione è stanca, non crede più alle promesse del regime di Khartoum, che ha assicurato aumenti salariali (da dieci a cinquanta dollari mensili a partire da febbraio) e che con il budget 2019 si cercherà di combattere l’inflazione, che ha raggiunto il settanta per cento (la più alta del mondo).
L’altro giorno Bashir si è rivolto alla folla, parlando della sua gioventù, della povertà, di ciò che ha dovuto subire quando lavorava nell’edilizia: “Sono caduto, ho rotto l’incisivo. Mi hanno dato acqua salata per sciacquarmi la bocca e ho dovuto continuare a lavorare. Non ho mai fatto curare questo dente, per non dimenticare mai le sofferenze e le difficoltà che mi hanno reso forte”. La folla ha risposto urlando: “March on, march on, oh Bashir!” and “God is greatest!” (vai avanti, continua a marciare, Bashir e “Dio è il più grande”).
Un raggruppamento politico all’opposizione, National Umma Party (NUP,) ha fatto sapere martedì scorso che finora i civili uccisi dalle forze di sicurezza durante le proteste sarebbero quarantacinque i feriti sarebbero oltre mille e che almeno duemila persone sarebbero state arrestate, alcune anche torturate.
E durante una conferenza stampa di ieri, il Fronte nazionale per il cambiamento (National Front for Change), che comprende ventidue partiti, ha chiesto all’esercito sudanese di proteggere i manifestanti che protestano pacificamente, di evitare spargimenti di sangue e di non uccidere cittadini innocenti. I responsabili del Fronte hanno chiesto che venga formata una commissione d’inchiesta neutrale con il preciso compito di investigare sulle uccisioni dei dimostranti, affinché vengano consegnati alla giustizia i responsabili.
Tre altri gruppi dell’opposizione, National Consensus Alliance, Sudan Call e Unionist Gathering hanno firmato insieme a Sudanese Professional Association il documento Freedom and Change (Libertà e Cambiamento) nel quale si chiede al vecchio leader di lasciare il potere.
Un altro blocco di forze politiche, che hanno fatto parte del National dialogue process (processo del dialogo nazionale) hanno invitato Bashir a trasferire il potere ad un collettivo, con l’incarico di implementare le riforme democratiche ed economiche. Come risposta hanno ottenuto rimproveri dal partito al potere, che continua a sostenere il presidente, su cui pende un mandato di arresto internazionale, spiccato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra commessi nel Darfur.
Africa Express
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