Franco Nofori
Torino, 2 gennaio 2018
Quando si pensa alla criminalità in terra d’Africa, si è portati a ritenerla, sì, feroce e spietata, ma attuata da piccoli gruppi d’individui, mossi dall’impulso e non da ben pianificate strategie. Ciò che è però avvenuto negli ultimi vent’anni in Nigeria, smentisce quest’assunto. Il grande paese africano, ricco di risorse minerarie – e quindi vezzeggiato da tutte le nazioni industrializzate – se si mostra incapace di alleviare le sofferenze del suo popolo, in quanto a organizzazione criminale, esprime una competenza pari a quella delle più quotate imprese internazionali.
Ecco lo stralcio di un’informativa inviata nel 2011, al nostro ministero degli Esteri, dall’ambasciatore nigeriano a Roma: “Vorrei attirare la vostra attenzione sull’attività criminale di gruppi nigeriani appartenenti a sette segrete, proibite dal nostro governo: purtroppo i membri di queste sette, che sono riusciti a entrare in Italia, hanno fondato nuovamente l’organizzazione nel vostro territorio con finalità criminali”. L’Italia non è comunque l’unica destinazione di questi progetti a matrice nigeriana, ne sono parimente affetti, Paesi Bassi, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Belgio e Stati Uniti.
L’organizzazione criminale nigeriana è a struttura verticistica, da cui discende un apparato logistico che opera attraverso cellule operative le quali conoscono solo la persona che le dirige e non sanno nulla dei livelli superiori. I reclutamenti avvengono attraverso riti “woodoo” o “juju” con giuramento di fedeltà assoluta verso l’organizzazione che, se infranto, prevede punizioni terribili che possono anche comportare la morte. I settori in cui la mafia nigeriana opera, sono il traffico di droga, la prostituzione, la gestione abusiva dei parcheggi, del caporalato e della questua.
Stando ai rapporti dei servizi di sicurezza alla Commissione Parlamentare Antimafia, la regione italiana in cui la criminalità nigeriana sarebbe più attiva è il Piemonte, in particolare, Torino, Novara e Alessandria. Seguono poi nell’ordine: Verona, Bologna, Milano, Roma, Napoli e Palermo. Ai primi segnali di questo nuovo inserimento criminale, si pensava che le mafie italiane non avrebbero tollerato chi veniva nel loro territorio a fargli concorrenza, ma anche in questo caso i nigeriani si sono mostrati abili nell’evitare pericolosi confronti.
Mafia siciliana, ‘ndrangheta e camorra, hanno stretto accordi con i nigeriani che assicurano loro la vigilanza del territorio e pagano un affitto per l’uso delle zone in cui operano. Le stesse prostitute sono vere e proprie vedette per le organizzazioni criminali nostrane, alle quali riferiscono tutto ciò che avviene nelle zone in cui operano. Un risultato, questo, che ha dell’incredibile se si pensa alle sanguinose faide che scoppiavano tra le varie famiglie mafiose, per mantenere l’esclusivo controllo del territorio. Del resto, i capi supremi di questa mafia d’importazione (tutti rigorosamente residenti in Nigeria) sono di elevata cultura e strettamente interconnessi con l’apparato politico locale che favorisce i loro traffici verso l’estero.
Benché la mafia nigeriana abbia raggiunto un livello internazionale soltanto verso la metà degli anni ’80, può oggi sedere alla pari tra i grandi trafficanti di droga mondiali, come Afghanistan, Colombia, Bolivia, Iran, Messico, Pakistan, Tailandia, Birmania, Marocco, Myanmar, Laos, Perù. La sua principale “famiglia” – che è anche quella più presente in Italia – ha il nome di “Black Axe” ed è nata nei tardi anni ’70 a Benin City in Nigeria. La sua roccaforte italiana è a Castel Volturno, in provincia di Caserta, territorio fino a ieri controllato dal clan dei casalesi, unico caposaldo criminale nostrano che mal tollera la concorrenza africana.
Benché la produzione nigeriana di droga sia modesta e si limiti alla marijuana, i porti del Paese, grazie alla connivenza con le autorità locali, sono un importante punto di smistamento verso i consumi europei e americani, devastandovi soprattutto le giovani generazioni. La feroce lotta senza quartiere dei narcotrafficanti, per assicurarsi il controllo dei mercati, produce centinaia di migliaia di morti. Solo in Messico, causa questa lotta, muoiono ogni giorno quasi cinquanta persone e più i Paesi destinatari del traffico si organizzano per contrastarlo, più il consumo cresce.
In Europa, il triste primato del consumo di droga va alla Gran Bretagna che, da sola, conta il 20 per cento di eroinomani e il 30 per cento di cocainomani dell’intero continente europeo. Forse, come sostengono alcuni osservatori, sarebbe più utile combattere il consumo piuttosto che dedicarsi al vano tentativo di contrastare il traffico. Per introdurre la droga in Italia, i nigeriani, utilizzano corrieri che ricevono circa tremila euro per ogni trasporto andato a buon fine. Si tratta soprattutto di donne, provviste di regolari permessi di soggiorno, che vengono utilizzate non più di due/tre volte per evitare che la ripetizione dei visti insospettisca la polizia di frontiera. Ad alcune di queste donne sarà poi conferito il titolo di “maman” per avviarle alla gestione delle prostitute (vere e proprie schiave sessuali) di prevalente origine nigeriana.
Quando, cedendo al sentimento di umana pietà, lasciamo cadere un euro nella mano del sorridente immigrato che ci attende fuori dal supermercato, al semaforo, davanti al ristorante o al bar, è bene sapere che, di quell’euro, forse neppure dieci centesimi gli rimarranno in tasca. Il resto finirà all’organizzazione che lo controlla. Un cronista torinese, è stato per circa due ore a osservare la questua di un immigrato in uno dei più trafficati incroci cittadini. Ogni tre minuti compariva il verde e ogni tre minuti il questuante poteva contare sul ricavo medio di un euro. Venti euro ogni ora; 160 euro ogni otto ore di “lavoro” e almeno 4 mila euro in un mese. Quasi tutti a beneficio della mafia nigeriana o della sua concorrente maghrebina.
Se si pensa alle molte centinaia di fonti, da cui questo flusso di denaro proviene (parcheggi, questua, prostituzione, spaccio, caporalato), si parla di guadagni stratosferici che nessuna attività legale è in grado di eguagliare. Guadagni che la mafia africana utilizza per acquistare sempre più droga, cercare altre rotte di smercio, aprire attività di paravento, come centri interculturali, circoli ricreativi e negozi etnici.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1
Fonti:
Rapporto Commissione Parlamentare Antimafia
Rapporto annuale Narcotics Control Board delle Nazioni Unite
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