Speciale per Africa Express
Franco Nofori
Torino, 26 dicembre 2018
La recente e barbara esecuzione delle due ragazze scandinave, nelle montagne del Marocco, ha drammaticamente ricordato al mondo, che il fondamentalismo islamico, per quanto mutilato nella sua capacità offensiva, non è ancora stato vinto e probabilmente non lo sarà ancora per lungo tempo, almeno fino a quando (e soprattutto, se) non si formerà nelle nuove generazioni islamiche, una coscienza di umana convivenza che sappia affrancarsi dall’ossessivo fanatismo fideista.
Il governo marocchino è comprensibilmente ossessionato dal rischio jihadista, dal quale vuole a tutti i costi tenersi fuori e ha quindi adottato misure piuttosto energiche che affidano ampi poteri alle forze della sicurezza interna. Se da questo punto di vista l’iniziativa appare giustificata, è fatale che concedendo carta bianca a chi deve proteggere la sicurezza del Paese, si incorre inevitabilmente nel rischio di favorire abusi, così come è avvenuto e sta avvenendo un po’ in tutta l’Africa mediterranea. Basterà ricordare l’uccisione dello studente di Cambridge, Giulio Regeni in Egitto, omicidio di cui sarà molto difficile venire a capo.
Benché il Marocco sia un Paese a totale religione islamica, considerato l’ultimo avamposto occidentale della cosiddetta “Islamic belt” (cintura dell’Islam), la sua popolazione è suddivisa, in misura pressoché uguale, tra arabi e berberi. Il potere economico e politico è però gestito in prevalenza dai primi, cui appartiene anche la famiglia reale di Mohamed VI. Il sovrano è peraltro da tutti riconosciuto come un leader moderno, il quale, oltre a voler mantenere il proprio Paese fuori dal fanatismo religioso, si è anche impegnato a saldarne l’unità nazionale, aprendosi a maggiori riconoscimenti in favore delle minoranze etniche. Malgrado questo intento, però, la discriminazione sociale verso la popolazione berbera continua e s’inasprisce.
I berberi, di origine nomade, sono presenti a macchia di leopardo un po’ in tutto il Marocco, ma la loro concentrazione maggiore si trova nella regione del Rif, territorio nell’estremo nord del Paese, compreso tra Capo Spartel e Tangeri. Esso culmina in una lingua di terra che si protende nello stretto di Gibilterra, quasi a voler ammiccare alla Spagna come destinazione desiderata. E’ infatti da questo punto che centinaia di migliaia di disperati in fuga dall’Africa tentano di accedere al troppo idealizzato paradiso europeo. Sì, perché i berberi, malgrado la loro economia sia di primaria importanza per l’intera nazione, sono poveri e con grave carenza di infrastrutture sociali, per la sanità, l’istruzione e i servizi di sussistenza in genere.
Le autorità governative periferiche, anche loro in prevalente etnia arabe, forti della discrezionalità e dell’autonomia loro concesse, si lasciano spesso andare a prevaricazioni verso i berberi, giudicati troppo primitivi e riluttanti a seguire le rigide regole imposte dal potere centrale. I berberi, non vogliono in effetti rinunciare ai loro stili di vita e accusano il governo che una buona misura della loro arretratezza è proprio causata dalla carenza di quei supporti sociali che da tempo reclamano.
La forte ostilità tra i due gruppi, si è riaccesa qualche anno fa con la morte di un pescatore che, in uno scontro con la polizia, tentava di impedire che gli venisse sequestrato il pesce che aveva appena portato a riva.
A partire da allora, le contestazioni berbere, contro il governo centrale sono andate via via intensificandosi, provocando le energiche reazioni delle forze dell’ordine che arrestano indiscriminatamente i dimostranti e li tengono a lungo in detenzione, ancor prima di formalizzare le accuse in una corte di giustizia. Un comportamento che ha finito per creare un esercito di vedove bianche. Donne orgogliose, eredi di un’antica società matriarcale che le poneva al centro decisionale della società e che oggi si trovano invece sole a dover accudire alla casa e ai figli, senza aver più il supporto del coniuge.
La gestione araba, com’è nel suo costume, relega le donne a un ruolo del tutto marginale e questo ha fatto si, che fino alla prima decade del millennio in corso, l’analfabetismo tra le donne berbere raggiungesse un impressionate 87 per cento del totale, ma gli arresti e le continue intimidazioni cui le loro comunità sono state soggette, hanno evidentemente risvegliato l’antico retaggio di forti guerriere che l’avvento della religione islamica – avvenuto alla fine del settimo secolo – aveva drammaticamente cancellato. In poco meno di dieci anni, le donne berbere, oggi, sono diventate attive e determinate nel reclamare i propri diritti e hanno attratto su di loro l’interesse del mondo intero.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1
Precisazione
Ricevo dal collega Ghaleb Bauriki, le seguenti precisazioni che pubblico volentieri:
Gentile collega,
sono un giornalista professionista iscritto all’associazione di Roma. Sono italiano di origine marocchina e vorrei solo informarti di alcune cose che riguardano berberi e arabi. La madre del Re del Marocco è berbera, come la stessa madre di Hassa II e il monopolio del commercio è in gran parte in mano ai berberi.
Cordialmente
Prendo naturalmente atto di quanto precisato dal collega. La bibliografia di re Mohammed VI da cui ho estratto le informazioni anagrafiche in questione, indica suo padre, Hassan II, come appartenente all’etnia araba ed è per questo che, in forza del diritto di successione dinastica, ho ritenuto di definirlo arabo. Tuttavia le attuali tensioni tra le forze governative e le comunità berbere, sono un fatto che non è influenzato dall’etnia del sovrano, al quale ho chiaramente riconosciuto la volontà di eliminarle per portare il paese verso una costante modernizzazione.
Probabilmente, le autorità periferiche del Paese, anche causa l’incombete rischio terroristico, attuano questi principi con un’ampia discrezionalità.