Franco Nofori
Mombasa, 22 dicembre 2018
Ammonta a 3,23 miliardi di dollari il debito che il governo del Kenya ha contratto con la Cina, per la costruzione della Standard Gauge Railways (SGR) che collega Nairobi a Mombasa ed è stata costruita dalla China Roads and Bridges Corporation (CRBC) che, naturalmente, ha già incassato il proprio corrispettivo, grazie al tempestivo prestito di un altro potente istituto finanziario cinese; la China Exim Bank che l’ha saldato, iscrivendolo a debito della Kenya Railways Corporation (KRC).
Per rassicurare gli amici cinesi (e molto probabilmente su loro stesso suggerimento) il debito con la Exim Bank è stato garantito dal governo keniano con un’ipoteca internazionale sulle strutture portuali di Mombasa. Se il debito non potrà essere ripagato, entro i termini e con le modalità pattuite, la Cina diverrà quindi il maggiore azionista di uno dei più importanti scali marittimi dell’Africa orientale.
La strategia del gigante asiatico appare ormai trasparente anche al più prudente degli osservatori. L’offerta di prestigiose (ma non sempre prioritarie) infrastrutture, accompagnate dalla generosa offerta di prestiti, che solo una scarsa avvedutezza fa sperare di poter onorare, ha già consentito a Pechino di prendere possesso di grandi imprese nazionali in Zambia e in Sri Lanka che, nel dicembre 2017, ha dovuto cedere il porto di Hambantota – scalo cruciale per il commercio con l’India – causa l’impossibilità di far fronte al debito, ma sono molte le grandi e medie imprese africane che sono finite, o stanno per finire, nelle mani di Pechino per la stessa ragione.
Con l’estenuante logorrea che caratterizza le concioni delle classi dirigenti africane, Edward Ouko, Auditor General del Kenya (istituzione simile alla nostra Corte dei Conti), ha assicurato ai concittadini, che il debito con la banca cinese, sarà ripagato con i proventi dell’esercizio del porto, condotto dalla Kenya Ports Authority (KPA), ma questa puerile affermazione è solo riuscita a suscitare lo scherno e i lazzi degli osservatori finanziari.
La KPA ha realizzato nell’anno di gestione terminato lo scorso 30 giugno, un ricavo di circa 400 milioni di dollari, che pur avendo prodotto un 7 per cento di aumento rispetto all’anno precedente, resta sideralmente lontano dall’importo a credito della China Exim Bank, che, pur sperando che la KPA consolidi il ricavo riferito anche negli anni a venire, ci impiegherebbe più di otto anni a ripianarlo, anche se Pechino mostrasse d’intenerirsi e volesse considerare il suo finanziamento, come un prestito puramente grazioso, cioè senza l’aggravio di alcun interesse.
Questo, non sarebbe tuttavia un ostacolo insormontabile, ma il fatto è che la Cina, non vuole indietro i soldi prestati; ciò che lei vuole è proprio il Porto e il sospetto che si va diffondendo negli organismi finanziari internazionali, è che Pechino alletti l’egocentrismo dei leader africani, offrendo loro futuristiche infrastrutture – alcune vere e proprie cattedrali nel deserto – proprio allo scopo di impossessarsi delle strutture chiave, quando il debito non può essere saldato. E’ un’ipotesi, certo, ma il fatto che questa strategia sia già stata attuata in altri paesi africani e sia tuttora in fase di costante attuazione, non può che avvalorarla.
l baratro verso cui un’Africa quantomeno sprovveduta si sta precipitando, non è sfuggito al New York Times, che già in un suo profetico editoriale dello scorso anno, scriveva: “Le ambizioni cinesi si realizzano attraverso la concessione di prestiti e aiuti, ma con l’intento di usarli come hardball (trabocchetto) per acquisire, una dopo l’altra, le più preziose e redditizie strutture africane”.
Franco Nofori
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