Speciale per Africa ExPress
Angelo Turco
Milano, 6 dicembre 2018
Nel mettere a punto la manovra di bilancio, e per convincere (finalmente) quelli di Bruxelles, ecco il colpo grosso. Sono stati recuperati ben 30,99 milioni di euro, prima specificamente destinati all’assistenza medica agli immigrati, e ora dirottati sulla sanità ordinaria. Le diverse Regioni potranno dal prossimo gennaio allocare quei soldi come vogliono.
Un diritto sostanziale del pur evanescente welfare migratorio annegato dalla confluenza delle risorse “nella quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale”. Una formula non priva di buon senso, ma solo apparente. Ci diranno infatti: non sono tecnicamente sottratte risorse alla salute dei migranti, che possono continuare ad essere curati per via ordinaria. Il che però, in un clima da “prima gli italiani”, capiamo bene che cosa può voler realmente dire.
Mi viene il dubbio che ci troviamo nel mezzo di un processo più o meno consapevole di instaurazione dello stato di eccezione nel nostro Paese. E ciò, non tanto nei termini analizzati da Carl Schmitt, bensì, piuttosto, nella chiave post-moderna immaginata da Giorgio Agamben. Ne abbiamo sentito parlare spesso. Sentiamo che si tratta di qualcosa di importante, di “straordinario”.
È lo stato d’eccezione, appunto: la sospensione dell’ordine costituzionale a causa di qualche grave accadimento che rischia di mettere a repentaglio le istituzioni democratiche, la tenuta del corpo sociale, la vita stessa dei cittadini.
Nell’Italia repubblicana abbiamo avuto modo di sentire l’aria pesante dello stato d’eccezione: negli anni di piombo, ad esempio; al tempo del terremoto dell’Aquila. Adesso quell’aria è diventata leggera, si infiltra dovunque. Lo stato d’eccezione quasi non si avverte più, un velo di normalità mediale copre tutto e subito, di continuo.
Forse perché lo strumento che si usa per “sospendere” la legge è piccolo, apparentemente innocuo, facilmente mimetizzabile. Si chiama emendamento. E riguarda loro, si, i migranti: quelli che, come lo stato d’eccezione, non sono né carne né pesce, stanno in mezzo, tra il diritto e la politica. Tra il filo (spinoso) della legalità che disciplina restrittivamente la cittadinanza e le maglie (accoglienti) della legittimità che prende in carico gli esseri umani in quanto tali.
L’emendamento introduce lo stato d’eccezione per via diffusiva, reticolare, indolore. Lo puoi trovare dappertutto. Ad esempio in un decreto fiscale: e allora trovi la tassa dell’1,5% sulle rimesse dei migranti. Una misura discriminatoria: un’imposta aggiuntiva per quella categoria di lavoratori e non per tutti.
Oppure lo trovi nella manovra di bilancio, come in questo caso, dove viene sospesa la tutela sanitaria per le persone che, pur non essendo cittadini italiani e non ricevendo alcuna altra attenzione dallo Stato, vengono riconosciute come soggetti titolari di diritti umani, primi fra tutti il diritto alla vita e alla integrità fisica, alla salute.
Un arretramento civile? Certamente. E qualcos’altro. Il welfare migratorio, un elemento fondamentale di ogni politica di integrazione, svenduto per un piatto di lenticchie.
Angelo Turco
angelo.turco@iulm.it
Angelo Turco è docente di Geografia Umana all’Università IULM
e curatore (con Laye Camara) del libro “Immaginari migratori“