Franco Nofori
Torino, 4 dicembre 2018
Benché l’Unione Europea sia stata finora il più importante partner dell’Africa Orientale, finanziando progetti per quasi 90 milioni di dollari l’anno, John Magufuli, presidente della Tanzania, ha pubblicamente dichiarato che, d’ora in poi, non si avvarrà più dell’aiuto europeo, ma a sostegno del proprio sviluppo, si rivolgerà esclusivamente alla Cina. L’eccentrico capo di Stato non ha neppure fatto mistero delle ragioni che hanno motivato la sua scelta: “L’Europa – ha detto – pretende di influenzare troppo le nostre scelte politiche come condizione per erogare gli aiuti”. In altre parole, ciò che Magufuli intende dire all’Europa è: ‘Se volete aiutarci, dateci i quattrini e fatevi i fatti vostri’.
In effetti, le recenti e controverse scelte politiche di Magufuli, hanno creato indignate reazioni in Occidente, dando luogo a intense pressioni sul suo governo perché le revocasse. Tra queste scelte c’è la persecuzione degli omosessuali, la restrizione dei diritti della società civile e l’esclusione dalla frequenza scolare delle ragazze incinte. A seguito di queste scelte, la Danimarca ha sospeso il suo programmato aiuto che ammontava a quasi 10 milioni di dollari e peggio ancora ha fatto la Banca Mondiale che ha congelato il prestito di 300 milioni di dollari da utilizzarsi per lo sviluppo del sistema educativo nazionale. Un analogo blocco di aiuti è attualmente all’esame della Commissione Europea.
L’irrigidimento delle posizioni occidentali, che da parte tanzaniana è quasi certamente visto come un ricatto e un’interferenza nella propria sovranità, ha fatto infuriare Magufuli, il quale, senza ricorrere a perifrasi, ha dichiarato di voler sviluppare rapporti sempre più intensi con Pechino, poiché “la Cina eroga i suoi aiuti senza legarli ad alcuna condizione, quando decidono di aiutarci, lo fanno e basta”. Il gigante asiatico, che è già il maggior investitore in Africa e ha recentemente promesso di investire ulteriori 60 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, in aiuti e prestiti finalizzati allo sviluppo d’infrastrutture, si starà certamente fregando le mani alle parole di Magufuli.
Intanto, in Tanzania, la persecuzione dei gay continua e si fa, anzi, sempre più truculenta, arrivando addirittura a creare una “Anti Gay Force”, con lo scopo d’individuare gli omosessuali e arrestarli. Il recente invito di Paul Makonda, capo della polizia di Dar es Salaam, rivolto alla popolazione affinché denunci ogni attività omosessuale di cui sia a conoscenza, richiama alla mente le squallide pratiche delatorie in atto nel defunto regime sovietico. Magufuli non fa passi indietro neppure nei confronti delle ragazze incinte cui ha negato l’accesso all’istruzione. Irridendo la loro condizione, ha detto: “immaginate con quale attenzione potranno seguire le lezioni, ogni tanto dovranno chiedere il permesso all’insegnate per uscire e allattare il figlioletto”.
Questo entusiasmo dei leader africani verso il nuovo partner asiatico, mostra ancora una volta come il progetto cinese di conquista del continente, sia attuato con estrema spregiudicatezza. La tutela dei diritti umani, la lotta alla corruzione, l’affermazione della legalità, non sono tra gli obiettivi di Pechino e questo non può che deliziare la classe dirigente africana che si sente libera di agire come le pare, senza subire le fastidiose pressioni che riceveva dall’Occidente. La Cina, intanto, ingigantisce il volume del proprio credito che, quando non può essere onorato, viene rimpiazzato dalla cessione da parte africana delle proprie strutture strategiche, com’è avvenuto in Zambia e come c’è il rischio che avvenga presto anche in Kenya.
Il senso di potere, che la compiacenza cinese favorisce a vantaggio delle leadership africane, induce queste ultime ad assumere atteggiamenti sempre più protervi, come quello espresso da Magufuli che, interrogato sulla questione delle adolescenti incinte, escluse dalla frequenza scolare, ha usato toni di sprezzante ironia, senza curarsi di come e da chi queste adolescenti sono state ingravidate e fingendo anche di ignorare che molte di loro hanno subito violenza sessuale, proprio all’interno della struttura educativa, quando non addirittura dagli stessi insegnanti cui erano affidate.
Franco Nofori
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