Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 3 dicembre 2018
Il presidente angolano, João Lourenço, è furente e punta il dito contro il suo predecessore José Eduardo dos Santos, al potere nella ex colonia portoghese dal 1979 al 2017. Il nuovo leader, che ha vinto le elzioni lo scorso anno, accusa dos Santos di aver lasciato le casse dello Stato praticamente vuote.
Durante un riunione del Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola, il partito al potere dal 1975, anno dell’indipendenza, il presidente ha rincarato la dose: “MPLA deve impedire che vengano nominati i nostri figli o parenti ad occupare posti di potere nell’amministrazione, in particolare per quanto concerne la realizzazione di grandi opere, come aeroporti, porti, ponti, cementifici e altro, se non sono in grado di rispettare le regole degli appalti pubblici. Mai e poi mai il partito avrebbe dovuto permettere che un giovane senza esperienza gestisse miliardi di dollari”. Giusta critica, peccato che Lourenço non sia intervenuto ai tempi di dos Santos, visto che occupava posti di prestigio già dal 1998 in seno alla formazione politica al potere.
L’allusione era fin troppo chiara, anche se Lourenço non ha fatto nomi. La battuta era ovviamente riferita al figlio di dos Santos, José Filomeno, al quale il padre aveva affidato nel 2013 la presidenza del fondo statale petrolifero, incarico che il nuovo presidente ed ex delfino del leader uscente, Lourenço, gli ha tolto all’inizio dell’anno, dopo aver rimosso la primogenita Isabel già un anno fa da presidente della Sonangol, la compagnia petrolifera di Stato. Il rampollo di casa dos Santos è stato arrestato alla fine di settembre insieme allo svizzero-angolano, Jean-Claude Bastos de Morais, suo amico e socio in affari.
Dos Santos non ci sta e respinge tutte le accuse. E’ ormai guerra verbale aperta tra l’ex presidente, la sua famiglia e Lourenço, che ha precisato: “Coloro che hanno perso i propri privilegi, acquisiti in lunghi anni di potere, dovrebbero essere almeno saggi abbastanza da non presentarsi come vittime”.
Il vecchio ex presidente sostiene che finanze e economia sarebbero stati stabili al momento delle consegne e che nelle casse c’erano ben quindici miliardi di dollari. Una cifra apparentemente alta, ma che non basta nemmeno a coprire le spese correnti per sei mesi per uno Stato come l’Angola.
Giustamente l’attuale governo sta attuando le promesse elettorali e combatte la corruzione galoppante in tutti modi. A febbraio dello scorso anno il neo presidente aveva lanciato una sanatoria di sei mesi per far rientrare capitali di miliardi e miliardi di dollari nel Paese. Il rientro di quel denaro è totalmente gratuito – non sono gravati di tasse aggiuntive – a condizione che vengano investiti nell’economia angolana. Ma trascorso il termine il governo userà tutti i mezzi legali a sua disposizione per far rientrare i capitali nel Paese.
Le autorità non si sono limitate a perseguire i grandi evasori, hanno dichiarato guerra anche al mercato nero, molto fiorente nei grandi centri abitati, in particolare a Luanda. I più poveri, spesso disoccupati dopo la crisi del 2014, causata dalla caduta del prezzo del petrolio, per risparmiare qualche kwanza (la moneta angolana) sono costretti ad acquistare i beni di prima necessità sulle bancarelle, dai venditori ambulanti, chiamati zungas, che oggi sono i veri padroni del commercio informale. Il capo della polizia, Paulo de Almeida, ha sottolineato: “Nella nostra società e nelle città regna il caos, l’anarchia più totale. Il nostro scopo è di ristabilire l’ordine e l’autorità dello Stato”.
Da fine novembre le forze dell’ordine hanno rastrellato i quartieri popolari della capitale Luanda e hanno chiuso anche diversi negozi abusivi, spesso gestiti da stranieri. Sono gli immigrati che vengono principalmente presi di mira dalla polizia. La povera gente compra ben poco, i prezzi sono troppo alti. Un diplomatico residente a Luanda ha precisato: “E’ comprensibile che le autorità vogliano risanare il settore del commercio, ma la popolazione che prima viveva con poco, oggi è allo stremo. La situazione sociale è estremamente preoccupante”.
Malgrado tutte le forze messe in campo per tenere sotto controllo i debiti e l’inflazione e cercando di far ritornare gli investitori stranieri nel Paese, le previsioni non sono rosee. Il Fondo monetario internazionale ipotizza una nuova recensione del 0,1 per cento per il 2018. Il ministro delle Finanze angolano, Augusto Archer Mangueira ha precisato: “Lo sviluppo dell’Angola sarà assicurato grazie al rigore, la disciplina, l’efficacia e il patriottismo”.
Le autorità di Luanda hanno deciso di mettere fine anche alle estrazioni illegali nelle miniere di diamanti, dove lavoravano per lo più cittadini stranieri, migranti, spesso non in regola con i permessi di soggiorno. I più provengono dalla vicina Repubblica Democratica del Congo e centinaia di migliaia sono stati espulsi lo scorso mese di ottobre, tra loro anche rifugiati. I loro racconti sono raccapriccianti. Si parla di ben oltre trecentomila persone che hanno dovuto andarsene dall’oggi al domani dalla provincia di Lunda Norte. Secondo l’ONU, le forze di sicurezza angolane e giovani di etnia tshokwe, allineati con il governo, avrebbero ucciso almeno sei congolesi durante le operazioni di sgombero. Probabilmente il numero delle vittime è ben più elevato.
Stando alle testimonianze dei congolesi costretti a varcare il confine, degli operatori di ONG attivi nella zona e di diversi media, molti sarebbero stati picchiati, molte donne avrebbero subito violenze sessuali. Si parla di case incendiate e saccheggiate, detenzioni arbitrare e altri abusi. Tutti hanno confermato che si respira un’aria di paura e di intimidazione nella regione Lunda Norte.
Dewa Mavhinga, direttore per l’Africa australe di Human Rights Watch ha ricordato alle autorità della ex colonia portoghese che le espulsioni devono essere effettuate nel pieno rispetto del diritto internazionale e della Carta africana dei diritti umani e dei popoli.
Mentre Michelle Bachelet, alto commissario dell’ONU per i Diritti Umani in un comunicato di fine ottobre ha fatto sapere che durante le operazioni di espulsione, le truppe congolesi avrebbero fatto un eccessivo uso della forza hanno lascianto centinaia di migliaia di persone in una situazione di estrema precarietà. L’ufficio HCDH aveva ricevuto queste informazioni da alcuni abitanti della città frontaliera di Kamako (nel Kasaï).
E per finire, l’HCDH ha anche denunciato che alcuni espulsi, una volta arrivati nel Congo-K, sarebbero stati vittime di estorsioni e “tassazioni” illegali da parte delle forze di sicurezza congolesi. Alcuni sono stati anche oggetto di detenzione arbitraria.
Cornelia I. Toelgyes
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