Franco Nofori
Mombasa, 2 dicembre 2018
Li Gen, Li Xiaowu e Sun Xin, rispettivamente; responsabile del trasporto, dirigente per la sicurezza e membro dello staff ferroviario, sono comparsi lo scorso lunedì davanti all’alta corte di Mombasa, insieme a quattro colleghi africani, per rispondere dell’accusa di corruzione. La giovane linea ferroviaria, inaugurata poco più di un anno fa, che doveva esprimere l’orgoglio nazionale del Kenya, è invece franata nel vasto pantano della corruzione che sembra inghiottire ogni tentativo di sviluppo sostenibile dell’ex colonia britannica.
I sette accusati, tutti alle dipendenze della SGR (Standard Gauge Railway) la nuova ferrovia ad alta velocità che collega la capitale Nairobi a Mombasa ed è gestita dalla CRBC (China Road and Bridge Corporation), avrebbero tentato di corrompere, con l’offerta di circa quattromila euro, alcuni funzionari governativi che indagavano su una pesante serie di ripetute malversazioni che avrebbero defraudato la compagnia ferroviaria di oltre ottomila euro al giorno.
Il soprannome “Madaraka Express” attribuito alla nuova linea ferroviaria (madaraka in swahili, significa “potere” ndr.) voleva simboleggiare il comune intento nazionale di procedere con forza e determinazione verso il progresso, ma a quanto pare, anche questa volta, si è scoperto il doloroso abisso che separa gli intenti dichiarati dalle loro reali attuazioni. I fatti che i sette arrestati avrebbero tentato di coprire, sono avvenuti – stando alle accuse del procuratore Noordin Haji – nella stazione terminale di Miritini, nei pressi di Mombasa, dove attraverso una vasta collusione criminale, i cui accertamenti sono tuttora in corso, gli incassi derivanti dalla vendita dei biglietti, erano dirottati nelle tasche di funzionari infedeli.
I tre cinesi, si sono dichiarati “non colpevoli” e tramite il proprio legale, Nelson Sitonki, hanno chiesto al presidente della corte, Julius Nang’eya, di ottenere la libertà su cauzione. A questa richiesta si è tenacemente opposta l’accusa esprimendo alla corte il rischio che gli imputati, una volta a piede libero, avrebbero potuto lasciare il Paese sottraendosi alla giustizia, visto che tra Kenya e Cina, non esiste (allo stato) un trattato di estradizione. Inoltre, sempre secondo l’accusa, c’è il rischio che, riottenuta la libertà, i tre possano interferire nelle investigazioni e inquinare le prove a loro carico.
Benché il difensore degli accusati, abbia proposto alla corte che i tre, ottenuta la libertà su cauzione, rimettano i loro passaporti nelle mani della giustizia e facciano quotidiano rapporto alla stazione di polizia del terminale ferroviario, dove loro stessi risiedono, venerdì scorso il giudice Nang’eya, ha respinto tale richiesta, accogliendo le tesi dell’accusa. I cinesi rimarranno quindi in custodia almeno fino alla prossima udienza fissata per il 10 dicembre. L’ambasciata cinese di Nairobi, da parte sua, ha mantenuto la necessaria equidistanza dall’evento, limitandosi a esprimere l’augurio che i propri connazionali siano trattati nel rispetto del diritto internazionale.
Franco Nofori
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