Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 novembre 2018
Sono passati quasi due anni dalle ultime elezioni presidenziali che hanno portato alla sconfitta di Yahya Jammeh, il dittatore che ha dominato la scena politica del Gambia per ventidue anni. Il suo avversario, Adama Barrow, aveva raccolto 43,3 per cento delle preferenze, pochi punti in più della vecchia volpe, ma sufficienti per mandare a casa il despota.
Non è facile rimettere in piedi un Paese dopo anni di terrore. Jammeh ha lasciato una pesante eredità: una gestione dei fondi pubblici, finalizzata soltanto all’arricchimento di se stesso, della sua famiglia e di quella dei suoi più stretti collaboratori. Prima di partire per l’esilio in Guinea Equatoriale il despota ha svuotato quasi completamente le casse della ex colonia britannica.
Per cercare di saldare parzialmente l’enorme debito pubblico, l’esecutivo di Barrow, una volta insediato, ha messo subito in vendita aerei e automobili di lusso acquistati da Jammeh durante la sua lunga tirannia.
La comunità internazionale è venuta in aiuto di Banjul. La scorsa primavera l’Unione Europea ha stanziato altre cifre consistenti in aggiunta a quelle già erogate all’inizio del 2017, subito dopo l’insediamento del muovo presidente. Parigi, durante la visita del ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, all’inizio di questo mese, ha messo a disposizione trenta milioni di euro per finanziare progetti agricoli e di accesso all’acqua potabile .
Ora, dopo due anni, buona parte della popolazione vive ancora in miseria. E’ il motivo per cui molti giovani scappano in Libia per raggiungere attraversare il Mediterraneo. Un sogno che termina quasi sempre nelle miserabili e disumane galere libiche, dove di umano è rimasta solo la sofferenza dei migranti. Per alcuni di loro si prospetta il ritorno “volontario”. E chi riesce ancora ad imbarcarsi non sa se giungerà mai a destinazione o se sarà riconsegnato ai suoi aguzzini.
L’economia del Gambia stenta a risollevarsi, la forte disoccupazione, i cambiamenti climatici spingono i giovani a lasciare la propria terra. Scappano, ma spesso sono costretti a tornare, dopo mesi, a volte anni, trascorsi in Libia. Rientrano a mani vuote e per ricominciare i sogni non bastano.
E chi ce l’ha fatta, una volta arrivato in Italia trova molte difficoltà. Ora, che l’ex colonia britannica è sulla strada verso la democrazia, ai più viene negato il permesso di soggiorno. Tragedia nella tragedia, come il ventiduenne gambiano che si è suicidato poco più di un mese fa in provincia di Taranto. Da un lato voleva ritornare a casa, dall’altra temeva di essere additato come fallito una volta rientrato.
Barrow durante l’ultima assemblea generale al Palazzo di Vetro a New York ha sottolineato che il suo Paese è riuscito a ristabilire la democrazia e lo Stato di diritto. In quell’occasione il leader gambiano ha presentato anche il piano di sviluppo nazionale 2108-2021, volto a incrementare la produzione agricola, la costruzione di infrastrutture e naturalmente la creazione di posti di lavoro.
Certamente sono stati fatti molti passi in avanti, ma molte lacune sono ancora da colmare. Lo ha sottolineato anche il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite nel suo rapporto del 30 agosto 2018.
Nella loro relazione gli esperti hanno evidenziato che le donne sono ancora poco presenti nella vita pubblica. Molto dipende dal sorprendente basso tasso di alfabetizzazione delle ragazze e ciò nuoce gravemente alla consapevolezza dei loro diritti. Il Gambia è ancora una società patriarcale, ICCPR chiede che lo Stato intervenga in modo incisivo sui ruoli che la società attribuisce agli uomini e alle donne. Inoltre viene richiesta l’applicazione della legge che vieta i matrimoni alle minorenni. Anche le mutilazioni genitali femminili sono ancora molto diffuse. La commissione consiglia di sensibilizzare la popolazione, in particolare i capi tradizionali e i leader religiosi, sulle gravi conseguenze di queste pratiche. Inoltre sono ancora troppo diffuse le violenze sulle donne, specie in abito domestico.
Secondo il Comitato lo Stato deve assolutamente abrogare tutte le disposizioni che permettono l’impunità generale e controllare che tutti, nessuno escluso, rispondano delle proprie azioni, compreso il presidente.
Nel fascicolo si precisa della necessità di aprire quanto prima le inchieste sui crimini commessi durante il passato regime, come le sparizioni e le esecuzioni extragiudiziali.
Tra gli accusati c’è anche Ousman Sonko, ex ministro degli Interni di Jammeh. Destituito nell’autunno 2016, qualche mese prima delle elezioni, è stato una figura chiave durante il regime ed è ritenuto responsabile di torture, sparizioni, omicidi arbitrari, nonché di esecuzioni capitali. Scappato dal suo Paese (lui sì in aereo e non su un barcone), nel gennaio 2017, ha chiesto asilo politico in Svizzera.
La Confederazione elvetica ha aperto un’inchiesta nei suoi confronti e così Sonko da richiedente asilo è diventato imputato. Attualmente si trova in detenzione provvisoria almeno fino a gennaio 2019. Sul “vice tiranno” pende un’accusa di crimini contro l’umanità, ma come se niente fosse, ha osato chiedere l’assistenza legale gratuita e la traduzione di tutti gli atti in inglese, a spese dello Stato.
Jammeh è stato al potere per ventidue anni. Prima l’ha “conquistato” con un colpo di Stato nel 1994, poi è stato rieletto una prima volta nel 1996 grazie a “libere e democratiche elezioni”, chiaramente truccate. Si dice che battezzato dai genitori si sia anche convertito all’islam, ma solo per ottenere più consensi, visto che la maggior parte della popolazione è musulmana. Il suo regime è stato accusato di tutte le ignominie possibili: arresti illegali, morti sospette, accanimento contro i media, violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e repressione verso i difensori di quei diritti per non parlare del suo odio atavico verso gay e lesbiche.
Il Gambia è una lingua di terra, un’enclave all’interno del Senegal e conta solamente 1,849.000 abitanti. E’ anche un Paese di transito per migranti. Nel luglio del 2005 sono sparite nel nulla oltre cinquanta persone provenienti dall’estero e dirette verso l’Europa. Tra loro c’erano nigeriani, senegalesi, ivoriani e quarantaquattro ghanesi. Tutti quanti ammazzati in Gambia in circostanze poco chiare. L’ex dittatore dovrà rispondere anche di questi morti.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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